Un colpo al cuore della Tunisia
Un colpo al cuore della Tunisia, della sua cultura, delle sue istituzioni e della sua economia fondata sul turismo. I terroristi hanno provocato 24 morti e un danno immenso al Paese, l'unico uscito dalla sua "primavera" con una fragile democrazia. Ora va affrontato di punta il problema dello jihadismo. E l'Europa deve dare il suo contributo.
La cronaca di Stefano Magni
“È un momento critico per la nostra storia, è un momento che deciderà il nostro futuro”, queste le parole del Primo Ministro tunisino Habib Essid dopo l’attentato al Museo del Bardo, nel cuore della capitale tunisina, che ha causato una ventina di morti tra turisti e cittadini tunisini.
Un momento critico che va ad aggravare la già delicata situazione interna del paese della rivoluzione del gelsomino. Fino a ieri la Tunisia era presentata come un modello di transizione, seppur complessa e delicata, verso la democrazia. La Tunisia, a differenza dell’Egitto, stava riuscendo lentamente a traghettare da un regime totalitario verso un futuro migliore. La Tunisia era riuscita a eleggere un nuovo governo guidato dal partito Nida Tounes che era riuscito a sconfiggere il partito islamista Ennahdha che, anche grazie al pragmatismo del proprio leader Rached al-Ghannouchi, aveva fatto di tutto per rimanere nell’arena politica. Purtroppo l’attentato odierno ha colpito al cuore e il cuore della Tunisia. Si è colpito al Museo del Bardo che conserva la memoria culturale e storica del paese, si è colpito a due passi dal Parlamento che in questi giorni da discutendo la legge anti-terrorismo, si è colpito due giorni prima dell’anniversario dell’indipendenza della Tunisia dalla Francia, conquistata nel 1956, si è colpito a pochi giorni dal World Social Forum che si terrà a fine mese nella capitale tunisina, si è colpito all’inizio della stagione turistica che avrebbe portato un po’ di sollievo all’economia tunisina.
L’attentato al Museo del Bardo ha altresì rammentato al governo e ai cittadini tunisini che il jihadismo non è più relegato al sud del paese ovvero a quella zona geograficamente più vicina alla Libia, ma può colpire ovunque. Una perfetta strategia volta a incutere terrore nel cuore delle istituzioni, dei cittadini e dei turisti. Ma l’attentato riporta anche alla mente che dalla Tunisia sono partite almeno tremila persone alla volta della Siria e dell’Iraq, alcune delle quali stanno rientrando e potrebbero ritornare per potere agire per potere combattere i miscredenti come è stato richiesto dallo Stato islamico.
Ed è questo il fenomeno su cui le autorità tunisine e le istituzioni internazionali dovrebbero soffermarsi. La disoccupazione, conseguenza di una situazione economica instabile, è il terreno fertile sul quale attecchisce l’ideologia dell’estremismo islamico. Se in passato, ai tempi di Ben Ali, Mohammed Bouazizi decise di dimostrare la propria insoddisfazione e la propria rabbia dandosi fuoco perché quello era l’unico modo per potere reagire in un regime totalitario, oggi i Bouazizi potrebbero decidere di seguire l’ideologia di colui che è mediaticamente più forte e che paga i propri seguaci con denaro e onore. Alcuni lo hanno già fatto unendosi alle varie realtà jihadiste. Che il terrorismo di matrice islamica continui a esercitare il proprio fascino sui giovani tunisini, e non solo su quelli disagiati, è dimostrato dalla notizia pubblicata ieri mattina che il famoso rapper tunisino Emino avrebbe annunciato di essersi unito allo Stato islamico e invitato i giovani compatrioti a seguire il suo esempio.
In questo momento delicato, i tunisini – colpiti, addolorati, delusi, preoccupati – sono scesi in strada per dire no al terrorismo, i partiti sembrano essersi compattati nella condanna e avere evitato la strumentalizzazione. La speranza è che società civile e politica riescano a mantenere i nervi saldi e a guardare avanti nella consapevolezza che il terrorismo deve essere affrontato a testa alta con misure di sicurezza che potrebbero momentaneamente limitare la tanto agognata libertà, che il terrorismo deve essere combattuto migliorando le condizioni di vita soprattutto nel sud del paese, ma non solo, che il terrorismo deve essere combattuto attraverso progetti di anti-radicalizzazione rivolti ai giovani. Tutto questo la Tunisia potrà realizzarlo solo attraverso il contributo dell’Europa che, a sua volta, dovrà dimostrare da che parte si vorrà schierare. In questo momento la Tunisia, così come l’Egitto, hanno bisogno di aiuti finanziari, di aiuti a livello di preparazione degli apparati di sicurezza e di una sponda nord del Mediterraneo che dia dei segnali costruttivi e positivi. Bruxelles deve prendere misure cautelative nei confronti dell’immigrazione clandestina. Non sappiamo chi arriva con i barconi, ma sappiamo che c'è una mafia che gestisce gli sbarchi e che arricchisce anche l'Isis. Bisogna dare dei segnali forti, controllare chiunque parta dalla Libia e contrastare gli arrivi, pur cercando di aiutare chi fugge da guerre e persecuzioni.
Un intellettuale e politico tunisino del XIX Secolo Khayr al-Din al-Tunisi descriveva il Mediterraneo come un luogo globale che univa sponda sud e sponda nord in un destino comune. Oggi più che mai, questo luogo globale può essere, attraverso la messa in atto di politiche comuni, la soluzione oppure diventare uno scenario dove il terrore naviga e approda ovunque trovi dei varchi. I tunisini, colpiti al cuore, hanno già deciso di guardare al futuro, ora tocca a noi stringerci a loro perché Tunisia, Libia ed Egitto sono l’altro Mediterraneo che non può essere abbandonato a se stesso perché è anche parte di noi.
La cronaca della giornata di Stefano Magni