Ue, i fondi (e la politica) ancora in alto mare
La riunione del Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre si è conclusa con un condensato di parole vuote e decisioni inutili, dal Covid alla Brexit, fino ai cambiamenti climatici. Nessun via libera sui fondi per fronteggiare la crisi economica. E intanto continua l’attacco dei gruppi di sinistra a Bulgaria, Polonia e Ungheria in nome di imprecisati “valori europei”
Europa in quarantena, e non è un modo di dire. Nei giorni del vertice tanto atteso e che avrebbe dovuto dare il via libero definitivo ai fondi per fronteggiare la crisi sanitaria ed economica, in molti (come Ursula von der Leyen, i primi ministri di Finlandia e Irlanda) si sono dati alla fuga (precauzionale) prima delle conclusioni, altri sono rimasti a casa (Polonia), alcuni invece hanno preferito celebrare a Bruxelles (ancora una volta) la fine della politica comune europea.
Le conclusioni del vertice del 15 e 16 ottobre sono un condensato di parole vuote, di decisioni inutili e vaghe. Riassumiamo. Sul Covid si invita a un maggior coordinamento; sulla Brexit (non c’è accordo) a proseguire con determinazione; sul taglio alle emissioni di CO2 (l’accordo di giugno scorso prevedeva il 50%, il Parlamento ha chiesto il 60%) si posticipa la decisione per arrivare a un’eventuale intesa (oggi lontana) a dicembre sul taglio del 55%; riguardo al partenariato con l’Africa - ribaditi sia l’interesse strategico, sia la collaborazione sul Covid - si auspica una cooperazione rafforzata; sanzioni alla Bielorussia e solidarietà a Polonia e Lituania per le ritorsioni di Minsk; piena solidarietà a Grecia e Cipro ma solo minacce (ridicole) alla Turchia e poco più.
Sulla stampa italiana e internazionale i vari primi ministri decanteranno probabilmente il proprio successo, peccato che non ci sia traccia di nulla nel documento finale (vedi qui). Non una parola sui sistematici violatori dei valori europei (Belgio, Francia, Irlanda, Olanda, Spagna, ecc.) che vogliono legiferare a favore di eutanasia, aborto, maternità surrogata e restrizioni della libertà di educazione. Una chiara conseguenza del vuoto pneumatico emerso nei giorni scorsi dalla lettera dei leader politici e parlamentari europei sui principi non negoziabili.
Nel riferirsi (ovviamente) alle democrazie di Bulgaria, Polonia e Ungheria, i leader di Ppe, Socialisti, Liberali e Verdi hanno ribadito che i “valori europei non sono in vendita” e chiesto una forte decisione del Consiglio Europeo che vincoli (cosa non avvenuta) i Fondi di Recovery e Bilancio Pluriennale al rispetto di tali valori. Peccato che dalla loro dichiarazione non si capisca a quali “valori” si riferiscano. Non certo all’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea (“L’Unione è fondata sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”): diversamente, gli attuali capi di governo di Belgio, Francia, Irlanda, Olanda, Spagna non dovrebbero nemmeno sedersi al tavolo.
Tra l’altro, proprio il Governo Sanchez-Iglesias sta approvando una riforma giudiziaria del Consiglio Giudiziario (il nostro Csm) contrastata sia dai magistrati che da tutte le forze di opposizione, oggetto di polemica anche al Consiglio Europeo di questi giorni (vedi qui).
Sul punto della condizionalità tra fondi europei e “stato di diritto/valori”, i Paesi del Gruppo di Visegrad - a cui si sono aggiunti Lituania, Bulgaria e Slovenia - dissentono. E la recente, fondata, notizia - secondo cui il commissario Vera Jourová avrebbe costantemente coordinato le proprie dichiarazioni contro il governo Orban con i partiti di opposizione ungheresi finanziati da Soros (vedi qui), oltre al palese doppio standard usato nei confronti dei Paesi centroeuropei su questi temi - ha rafforzato la loro posizione. Recovery Fund, come Bilancio Pluriennale: tutto in alto mare. Altro che soldi freschi e subito da gennaio, come i nostri politici avevano dichiarato falsamente, pur di blindare la propria coalizione di governo. Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, lo aveva detto sin dal primo giorno: il Parlamento chiede più fondi nel Bilancio e più vincoli, sia sul clima sia sullo stato di diritto, è necessario immaginare “soluzioni fantasiose”. Nulla da fare. Nonostante gli appelli di Macron, Sanchez e altri sulla necessità di veder approvato un medesimo testo tra Consiglio Europeo e Parlamento, le distanze sono molto ampie, nonostante anche Angela Merkel (presidente di turno per il semestre europeo) veda spazi di intesa.
L’urgenza di intervenire è massima, le economie e i cittadini soffrono, i soldi di Recovery e Bilancio Pluriennale sarebbero serviti già durante la prima fase della pandemia, la scorsa primavera. Ormai siamo nella “seconda ondata” del virus e il Parlamento che fa? Chiede alla Commissione e al Consiglio di bandire in tutti i Paesi le terapie riparative per le persone che si identificano come Lgbt (vedi qui) e approva la messa al bando dai fondi di aiuto di tutte le risorse energetiche fossili (incluso il gas metano), rispettando solo i dettami della scolaretta Greta. Le polemiche degli ultimi giorni sul tenere o meno le prossime riunioni di persona o per via telematica (vedi qui) ci confermano l’insipienza a cui siamo giunti. Manca il buonsenso, la Politica (con la P maiuscola), non è certo la modalità degli incontri a preoccupare i cittadini europei.