Ucraina, l'equivoco della «pace giusta»
Ascolta la versione audio dell'articolo
Il disastro della diga di Kakhovka è l'ultimo esempio della follia di questa guerra in Europa a cui nessuno pare intenzionato a porre fine. Zelensky ripete al cardinale Zuppi che l'unica pace possibile è la sconfitta della Russia e l'incriminazione di Putin. Una strada pericolosa e poco realista.
Come al solito, anche per il disastro della diga di Kakhovka nessuno ne sa niente e c’è un susseguirsi di accuse reciproche tra Russia e Ucraina. Un numero imprecisato di morti, decine di migliaia di sfollati, danni ingenti all’agricoltura (parliamo di decine di migliaia di ettari di terreno coltivato) le cui conseguenze saranno pagate per molti anni, sono gli effetti immediati più visibili, che colpiscono entrambe le sponde del fiume Dnipro, a sud controllata dai russi, a nord dall’Ucraina.
In realtà ogni ipotesi sull’incidente potrebbe essere vera, visto che la massa di acqua che sta fuoriuscendo dalla diga provoca danni ad entrambe le parti in guerra. La diga si trova nel territorio oggi controllato dai russi ed è fondamentale per fare arrivare l’acqua alla penisola di Crimea che Mosca si è annessa nel 2014. Da considerare anche che proprio l’anno scorso i russi avevano riaperto il canale che da Kakhovka porta acqua alla Crimea, dopo che Kiev aveva chiuso i rubinetti in seguito all’occupazione russa della stessa Crimea. Inoltre vi potrebbero essere conseguenze per la centrale nucleare di Zaporizhzhia, 150 km più in alto (anch’essa sotto controllo russo), a cui l’infrastruttura di Kakhovka garantisce l’acqua per il raffreddamento dell’impianto.
Dall’altra parte, oltre ai danni per la popolazione (Kiev ha detto ieri che 29 villaggi sono stati evacuati), l’inondazione chiude un corridoio da cui si presume potessero passare le truppe ucraine nella tanto annunciata controffensiva, di cui peraltro non c’è ancora traccia visibile a parte le dichiarazioni. Analisti non escludono neanche la possibilità di un incidente, magari attraverso l’esplosione accidentale di una mina che avrebbe creato una breccia che è andata allargandosi nei giorni.
Di fatto finora nessuno ha potuto verificare cosa ha realmente provocato il disastro, che ricorda quello avvenuto il settembre scorso quando fu sabotato il gasdotto Nordstream che collega la Russia alla Germania. Solo ieri è emerso – rivelazione del Washington Post - che la Cia sapeva già tre mesi prima del piano di un commando ucraino proprio per sabotare quel gasdotto.
Vedremo se anche per Kakhovka alla fine emergerà la verità. Ciò che è certo è che giorno dopo giorno, distruzione e morte dopo distruzione e morte, la situazione si incancrenisce e la temperatura si alza pericolosamente in altre parti del mondo: le rinnovate tensioni in Kosovo non sono certo estranee a quanto accade tra Russia e Ucraina e anche le manovre cinesi intorno a Taiwan sono fatalmente facilitate da quanto accade in Europa. Inoltre, proprio il 6 giugno il nuovo Rapporto dell’Istituto Internazionale di Stoccolma di Ricerca sulla Pace (SIPRI) ha certificato un aumento record delle spese militari mondiali per il 2022, che hanno toccato i 2.24 miliardi di dollari, cifra mai raggiunta in precedenza. Stati Uniti, Cina e Russia fanno ovviamente la parte del leone; non sorprendentemente l’Ucraina ha aumentato le spese del 640% rispetto al 2021; ma l’aumento della spesa militare è un fatto diffuso: i Paesi dell’Europa centrale e occidentale nel 2022 hanno superato per la prima volta la spesa del 1989, quando è terminata la Guerra Fredda e, nella zona più vicina al conflitto, il maggiore incremento riguarda Finlandia (+36%), Lituania (+27%), Svezia (+12%) e Polonia (+11%).
A fronte di questa situazione sarebbe urgente fermare le armi, congelare almeno temporaneamente il conflitto, aprire linee di dialogo per trovare una soluzione negoziata. Ma si deve amaramente constatare che non si vede nessun serio tentativo di questo genere, a parte l’azione della Santa Sede su cui ritorneremo tra poco, da parte dei paesi più influenti. Né arrivano segnali di incoraggiamento da Mosca e Kiev. Come abbiamo già scritto più volte c’è una sorta di ubriacatura generale che fa vedere la guerra come una soluzione a portata di mano o quantomeno conveniente; chiudendo gli occhi sulle sofferenze della popolazione - la morte, la miseria, la migrazione -, e sulle ferite da odio che tutto questo sta provocando e che si protrarrà per generazioni.
In fondo anche la missione del cardinale Matteo Zuppi, a cui il Papa ha affidato il compito di verificare le condizioni per «avviare percorsi di pace», che è stato a Kiev il 5 e 6 giugno, sta mettendo in rilievo questa rigidità che è molto difficile scalfire.
A lui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ribadito ciò che aveva già detto a papa Francesco, cioè che l’unica strada possibile è il sostegno al suo piano di pace: «una pace giusta», che consiste nel ritiro delle truppe russe da ogni territorio entro il confine ucraino internazionalmente riconosciuto (Crimea compresa), il rilascio dei prigionieri ucraini, l’istituzione di un tribunale internazionale per giudicare i crimini di guerra commessi dai russi, il rafforzamento dell’alleanza militare euro-atlantica. In altre parole Zelensky chiede la resa totale della Russia e l’umiliazione di Putin.
Una soluzione molto lontana dal tentativo di «trovare una via d’uscita che non faccia sentire nessuno sconfitto», come a settembre scorso invocava con buon senso l’arcivescovo cattolico di Mosca, monsignor Paolo Pezzi. Del resto, più il conflitto va avanti e si inasprisce, più questa via d’uscita si rivela di difficile realizzazione.
Una guerra nasce per una complessità di ragioni che non possono essere banalizzate in un “buoni contro cattivi”. E se l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non può essere giustificata in alcun modo, devono però essere compresi seriamente i motivi – prossimi e remoti – che hanno spinto Mosca a intraprendere un’azione del genere. Una «pace giusta», pur senza premiare l'aggressore, deve rendere ragione di tutti i fattori in gioco. Le tragedie del XX secolo dovrebbero avere insegnato che l’umiliazione di una parte pone le basi per ulteriori destabilizzazioni e per la guerra successiva.