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ESTERI

Ucraina, Gaza. E noi a cosa pensiamo?

L'abbattimento del Boeing malese in Ucraina dovrebbe risvegliarci alla realtà: in piena Europa si sta combattendo, così come in Medio Oriente e in Nordafrica, conflitti che ci coinvolgono ma che ci trovano completamente distratti e indifferenti. - Gli occhi chiusi della Ue, di Graziano Motta

Esteri 19_07_2014
Il Boeing abbattuto in Ucraina

Chi è stato? È questa la domanda più ricorrente dopo l’abbattimento del Boeing 777 della Malaysian Airlines avvenuto giovedì sui cieli dell’Ucraina, con un bilancio di 295 morti. Un evento scioccante: saranno stati i governativi ucraini o i ribelli filorussi? Forse non lo sapremo mai, visto che le due parti si rimbalzano le accuse e la propaganda è un’arma di guerra così come i missili terra-aria. 

Ma anche si chiarissero alla fine le responsabilità, la domanda giusta che noi dovremmo porci sarebbe comunque un’altra: come mai questo evento ci ha colto di sorpresa? Non per l’incidente in sé ovviamente, ma perché non ci ricordavamo che in Ucraina c’è una guerra in corso. Da settimane infatti sui nostri giornali non se ne parla più e i nostri politici sono in tutt’altre faccende affaccendati, così che di Ucraina non si parla nemmeno di striscio. O meglio, ancora più grave: si è sfiorato l’argomento per l’opposizione di alcuni paesi est europei alla nostra Federica Mogherini rappresentante della politica estera europea. «Troppo amica della Russia» è l’argomento, e si capisce allora che almeno da quelle parti hanno in mente quel che sta accadendo. Ma da noi, e nel resto dell’Europa, è soltanto una questione di nomine e di prestigio internazionale (peraltro intorno a una carica che nei fatti non conta molto, in Italia poi è più un problema di politica interna).

E invece sul terreno lo scontro in queste settimane è cresciuto pericolosamente: i militari ucraini sono all’offensiva – anche con aiuti occidentali – per riconquistare la parte orientale dove i miliziani filo-russi – che pur avendo subito alcune perdite promettono una lunga resistenza - a loro volta stanno ricevendo armamenti sempre più sofisticati dalla Russia; le vittime del conflitto sono ormai centinaia – e a queste si devono aggiungere purtroppo anche i 298 del disastro aereo di giovedì -; anche tra le diverse confessioni cristiane cresce ora la tensione e la Chiesa cattolica è sempre più nel mirino: nell’ultima settimana sono stati rapiti due sacerdoti, uno rilasciato l’altro ancora in mano ai filo-russi; le possibilità di una soluzione negoziata che erano sembrate concretizzarsi con l’elezione del nuovo presidente ucraino Petro Poroshenko si allontanano giorno dopo giorno e dopo l’abbattimento dell’aereo malese si avvicinano pericolosamente allo zero.

Di tutto questo però non si parla, eppure bisognerebbe interrogarsi sul perché a venti e passa anni dalla fine della Guerra fredda, viviamo ancora immersi nella logica della Guerra fredda con il rischio che diventi pure calda. E forse bisognerebbe riprendere e meditare quel san Giovanni Paolo II che non si stancava di ricordare che l’Europa deve essere una, dall’Atlantico agli Urali: nessun politico l’ha seguito, oggi scontiamo tale mancanza di visione.

Questa preoccupante incoscienza è però generalizzata. Mentre l’aereo malese veniva abbattuto in Ucraina le truppe israeliane entravano a Gaza, dando il via a quell’operazione di terra che lo stesso governo israeliano era riluttante a intraprendere. Ma i tentativi di applicare almeno il cessate-il-fuoco sono andati tutti a vuoto, le pressioni internazionali non sono state così forti e decisive come la gravità del momento richiederebbe, e ora guardiamo impotenti a questa escalation di odio e violenza che sembra non avere mai fine. Non c’è da illudersi, tempo qualche giorno e anche il conflitto israelo-palestinese scivolerà in basso nella classifica delle priorità di giornali e politici: solo qualche episodio particolarmente tragico lo riporterà in alto, temporaneamente. 

E non finisce qui: il conflitto siriano è praticamente sparito eppure siamo ormai intorno alle 200mila vittime con combattimenti e violenze sempre più gravi, una parte della Siria è unita a parte del territorio iracheno sotto un califfato che – come abbiamo documentato anche ieri – promette solo tempi peggiori. E a proposito di Iraq, le cose non potrebbero andare peggio, così come in Afghanistan, dove le sciagurate scelte dell’amministrazione Obama hanno reso tutta questa area un immenso teatro di guerra tra bande più o meno fondamentaliste. Della tragedia di Iraq e Nigeria, della triste sorte delle comunità cristiane e del disegno egemonico dei gruppi jihadisti, abbiamo parlato anche ieri (clicca qui). E ancora: in Libia – dopo l’assurda scelta di intervento occidentale per far fuori Gheddafi -  regna l’anarchia, causa non ultima dell’invasione delle nostre coste da parte di decine di migliaia di migranti. 

Potremmo andare ancora avanti, ma è sufficiente per comprendere che siamo circondati da guerre e violenze che, ci piaccia o no, in un modo o nell’altro ci coinvolgono e – peggio ancora – rischiano di travolgerci. Eppure continuiamo a ignorarle, come ballando sul Titanic, con una classe politica – non solo italiana ovviamente – palesemente inadeguata. Lo abbiamo documentato anche ieri a proposito degli “errori” sui terroristi di Boko Haram; ma ancora più preoccupante del crescere di guerre intorno a noi sono le posizioni come quella del presidente americano Barack Obama che vuole farci credere che grazie a lui viviamo in un mondo mai stato così stabile e in pace. O come quella dell’Unione Europea che, insieme agli Usa, è molto più preoccupata dei cambiamenti climatici e dei diritti gay che non delle tragedie umane che avvengono quotidianamente.

Quanto sta accadendo deve rimettere in discussione le priorità di politica internazionale (e nazionale): bisogna chiarire una volta per tutte che il fondamentalismo e il terrorismo islamico sono una minaccia globale, altro che i cambiamenti climatici; che la stabilità e la pace, in tutte le aree, sono il primo obiettivo da perseguire; e che la difesa della presenza dei cristiani – in Medio Oriente e altrove – è la premessa a qualsiasi politica di pace; che lo sviluppo umano integrale (e non lo sviluppo sostenibile) per tutti i popoli è il vero obiettivo del Millennio.

Non c’è molto da illudersi sull’attuale leadership occidentale, ma almeno cominciamo a porre il problema.