Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

INTERVISTA

Twal: Venite in Terrasanta per sostenere i cristiani

Il Patriarca latino di Gerusalemme: «Non limitatevi a visitare i luoghi sacri, ma venite a trovare le pietre vive, non abbandonate i vostri fratelli».

Attualità 07_06_2011
twal

“Agli italiani e al mondo dico: quando venite in Terrasanta, non limitatevi a visitare i luoghi sacri, venite a trovare le pietre vive: i fedeli cristiani che formano la Chiesa vivente di oggi: dite loro che non sono soli. Fate sentire che i loro fratelli nel mondo li pensano,  pregano per loro.”

A questo appello ha dato voce Mons. Fouad Twal, il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, presente alla convocazione nazionale a Rimini del Rinnovamento nello Spirito Santo, il movimento dei fedeli laici che è impegnato nella costruzione di un Centro internazionale mariano a Gerusalemme, intitolato alla Santa Famiglia di Nazareth, voluto dal Beato Giovanni Paolo II.

Dal palco del Rinnovamento mons. Twal abbraccia idealmente il mondo e dice “Voi tutti siete miei parrocchiani: Gerusalemme è la vostra Madre Chiesa! È lì che si trovano le vostre radici. E per questo dico che è dovere morale vostro, e dei cristiani tutti, di venire a dire ai vostri fratelli in Terrasanta che non li avete abbandonati.”

Il prelato, che è esperto del Medio Oriente anche per essere stato arcivescovo di Tunisi per 13 anni, fornisce una finestra sul Medio Oriente, visto dall’ottica dei cristiani di Terrasanta. “Siamo nella violenza da 60 anni - esordisce Mons. Twal - e in tutto questo tempo non siamo riusciti a trovare una soluzione. Ciò significa che abbiamo sbagliato, e che non c’era la buona volontà di por termine al conflitto, solo la volontà di continuarlo. Noi vogliamo la pace, una vita normale. Non dei privilegi. E vogliamo anche noi poter visitare senza timore i luoghi sacri della Terrasanta.”

Eccellenza, lei è stato è stato a lungo Presidente della Conferenza episcopale del Nord Africa, che opinione si è fatto della rivoluzioni in  Egitto e Tunisia…?
È un movimento di ribellione che non ha colore politico. Non c’è un grido contro il sionismo o l’imperialismo. Sono solo giovani che chiedono un lavoro e una vita normale. È un movimento che ha il potenziale di arrivare dappertutto, quindi è prudente adesso fare dei passi concreti da parte anche di altri.
Ad esempio?
Togliere i “checkpoint” (posti di controllo, ndr) in Israele. Creare due Stati. Sappiamo di essere condannati a vivere fianco a fianco, pertanto sarà meglio essere buoni amici piuttosto che nemici per sempre. Occorre lavorare per creare una cultura di pace e collaborazione.

È un messaggio per Israele, dunque.
È un messaggio per tutti, ma i checkpoint sono di Israele. E Israele deve avere il coraggio di toglierli, per permetterci di raggiungere i luoghi sacri. È triste vedere che gruppi dall’estero, dall’Italia, dagli Usa, da dovunque, possono andare nei luoghi sacri, ma non ci può andare la gente di qui, quelli che vivono nella porta accanto, Ramallah, Hebron… .   Quando preghiamo per la pace non preghiamo per un popolo e non per l’altro. Ma per giungere alla pace occorrono, ripeto, passi concreti. Abbiamo bisogno di pace per tutti. Nell’ultimo Sinodo, il 1 ottobre, i patriarchi del Medio Oriente, 185 vescovi, hanno condannato ogni forma di violenza. Noi siamo cristiani e crediamo ancora nel comandamento che ingiunge di amare il prossimo.