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Trump vorrebbe commissariare Harvard. Con metodi discutibili

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Pressione crescente su Harvard, accusata dall'amministrazione Trump di non aver affrontato seriamente il pericolo dell'antisemitismo durante le manifestazioni pro-Palestina. Ma i metodi dell'amministrazione sono ai limiti della costituzionalità.

Educazione 18_04_2025
Protesta a sostegno di Harvard (La Presse)

L’Università Harvard, una delle più prestigiose del mondo, è sotto torchio. Dopo il disastroso anno accademico 2023-24, caratterizzato dalle occupazioni pro-Palestina, con il loro seguito di manifestazioni di intolleranza nei confronti di studenti e docenti ebrei (circa il 10% della popolazione studentesca), l’amministrazione Trump ha deciso di imporre un cambiamento radicale all’ateneo. Forse troppo radicale e con dubbi di costituzionalità di queste misure. Harvard ha deciso di tener testa al presidente, considerando anche il suo immenso patrimonio e la rete di appoggi internazionali. Il caso finirà sicuramente in Corte Suprema e l’esito è tutto meno che scontato.

Nell’ultimo sviluppo del duello, l’amministrazione Trump ha minacciato di vietare l’iscrizione ad Harvard degli studenti stranieri, privando l’ateneo di gran parte della sua attrattiva (oltre a cospicue e numerose rette pagate). Harvard conta, infatti, circa 10mila studenti stranieri che arrivano da tutto il mondo.

Questa misura arriva a seguito della minaccia del taglio dei fondi federali. Quasi 9 miliardi di dollari in sovvenzioni e contratti federali sono sotto esame nell'ambito di un'indagine. E lunedì sera (14 aprile) l’amministrazione Trump ha annunciato già primi tagli federali per 2,26 miliardi di dollari. Così anche da dimostrare che sta facendo sul serio.

E non è finita qui, perché secondo fonti del Wall Street Journal, l'amministrazione Trump ha chiesto all'Internal Revenue Service (l’equivalente dell’Agenzia delle Entrate) di avviare la procedura per revocare l'esenzione fiscale all'Università di Harvard. Starebbero predisponendo un piano per revocare lo status privilegiato di Harvard, che consente ai donatori di ottenere detrazioni fiscali per i contributi e impedisce all'università di pagare le tasse sui guadagni netti. Harvard è esente dall'imposta federale sul reddito in quanto opera come istituzione educativa 501(c)(3). Trump ha accennato in un recente post su Truth Social che l'università dovrebbe invece essere tassata come “entità politica” perché, a suo avviso, sta promuovendo punti di vista politici.

Perché proprio Harvard? Oltre al fatto che è la più celebre università del paese e vale, ancor di più, il detto “colpirne una per educarne cento”, è balzata agli onori della cronaca per la figuraccia rimediata dalla sua ex presidente, Claudine Gay. All’inizio delle manifestazioni pro-Palestina, nel dicembre 2023, alla domanda di Elise Stefanik (ex studente di Harvard) se un ipotetico appello al genocidio del popolo ebraico potesse costituire una violazione del codice di condotta di Harvard, la Gay aveva risposto: «Potrebbe, a seconda del contesto». La risposta aveva provocato uno scandalo e riacceso l’attenzione sulla carriera della Gay. In gennaio ha dovuto dare le dimissioni per plagio. Perché il sospetto che avesse copiato quasi la metà delle sue pubblicazioni, inclusa la tesi, si era rivelata fondata.

Giovedì scorso (10 aprile), tre membri di una task force sull'antisemitismo appena costituita dall'amministrazione Trump hanno scritto al nuovo presidente di Harvard, Alan Garber, chiedendo all'università di adottare nove misure che “riteniamo necessarie per il mantenimento dei rapporti finanziari tra l'Università di Harvard e il governo degli Stati Uniti”. Venerdì scorso, Harvard ha ricevuto la richiesta ufficiale. L’elenco delle condizioni includeva l'obbligo per Harvard di consentire al governo federale di supervisionare le ammissioni, le assunzioni e l’ideologia degli studenti e del personale. Tra le richieste avanzate nella lettera di venerdì: Harvard dovrebbe assumere una terza parte, approvata dal governo federale, per verificare la “diversità di punti di vista” del corpo studentesco, dei docenti, del personale e della dirigenza e presentare tali relazioni al governo federale entro la fine del 2025. Harvard sarebbe tenuta a condividere tutti i dati relativi alle assunzioni e alle ammissioni con il governo federale almeno fino alla fine del 2028. Di fatto si tratta di un commissariamento. E Harvard ha rifiutato, subendo il crescendo di misure restrittive da parte dell’amministrazione.

Harvard ha un patrimonio di 53 miliardi di dollari, pari al Pil di un paese in via di sviluppo. Anche se perdesse i fondi federali potrebbe sopravvivere. Anche se le donazioni private non venissero più detassate (come promette Trump), il prestigio accademico e la rete di connessioni internazionali permetterebbero di ricevere comunque lasciti dentro e fuori gli Usa. Per questo l’amministrazione Trump sta progettando di colpire direttamente il suo patrimonio. L’amministrazione ha ventilato l’ipotesi di una tassa del 35% sul patrimonio delle università con grandi fondi di dotazione. 

Ma la pressione dell’amministrazione americana su un’università privata è costituzionale? I precedenti non sono favorevoli a Trump. La Corte Suprema ha affermato, in passato, che il governo non può utilizzare i benefici o i fondi federali per costringere le parti a rinunciare ai propri diritti costituzionali. E le condizioni per ricevere fondi federali dovrebbero essere approvate dal Congresso, non cambiate in corso d’opera per volontà del solo potere esecutivo.

Il problema delle grandi università ideologizzate resta. Ma se Trump lo affronta con questi metodi, rischia di non risolverlo. E di fornire a un successore democratico un precedente ancora più pericoloso, da usare contro i conservatori.