Trump lancia la riconciliazione e nomina donne forti
Trump nomina due donne importanti: Nikki Haley andrà all'Onu. Governatrice, imprenditrice, figlia di immigrati indiani, è simbolo dell'integrazione riuscita. Betsy DeVos, paladina della libertà di educazione, è segretaria all'Istruzione e promette una svolta. Al commercio forse andrà Wilbur Ross, figura chiave per la visione economica di Trump.
Un discorso per la riconciliazione nazionale dopo una delle “campagne elettorali più dure della storia recente della nazione”. Così Donald Trump si presenta con un discorso alla nazione, il primo da presidente eletto. Le sue parole sono accompagnate dall’annuncio di due nuove nomine, dense di significato: Nikki Haley sarà ambasciatrice degli Usa all’Onu, Elisabeth “Betsy” DeVos sarà segretaria all’Istruzione. Secondo i media, Wilbur Ross sarà segretario al Commercio.
Il discorso di Trump, pronunciato in occasione del Giorno del Ringraziamento, una delle feste più importanti degli Stati Uniti, è stato tutto all’insegna dei toni rassicuranti e della riconciliazione nazionale. Certo “le tensioni non si risanano in una notte”, ha esordito il neo-presidente. Ma “La mia preghiera nel Giorno del Ringraziamento è che curiamo tutte le nostre divisioni e facciamo passi in avanti verso un Paese più forte. Abbiamo davanti a noi l'opportunità di scrivere la storia insieme e di portare un cambiamento reale a Washington, la vera sicurezza nelle nostre città e una prosperità autentica per le nostre comunità. Vi chiedo di unirvi a me in questo sforzo, è ora di recuperare i rapporti di fiducia tra i cittadini”. Ha citato Abraham Lincoln, il riunificatore del paese (nella Guerra Civile del 1861-1865), nonché il fondatore del Partito Repubblicano, per esortare la nazione a “parlare con una sola voce e un solo cuore”. E così ha anche smentito certe simpatie per il Ku Klux Klan e altri razzisti. “E’ questo quel che dobbiamo fare. Questa campagna elettorale storica è finita. Ora comincia una grande campagna per ricostruire il nostro Paese e recuperare la promessa piena di un'America per tutti”.
La nomina di Nikki Haley è effettivamente all’insegna della riappacificazione. Se non altro quella all’interno del suo partito. Governatrice della South Carolina, era un’accanita avversaria di Trump durante le elezioni primarie. Si era opposta al tycoon sui temi dell’immigrazione, aveva pronunciato discorsi di fuoco quando “the Donald” aveva proposto l’espulsione dei musulmani. “Mai l’America ha accettato politiche di discriminazione su base religiosa”, aveva dichiarato in quell’occasione, ricordando il Primo Emendamento della Costituzione (ma dimenticando diversi altri casi storici di divieto di immigrazione su base religiosa, fra cui quella proprio rivolta ai musulmani voluta dal presidente Theodore Roosevelt all’inizio del secolo scorso). A costo di attirarsi le ire dei repubblicani del Sud, poi affluiti in massa nelle file degli elettori di Trump, la Haley si era presa la responsabilità di rimuovere dagli uffici pubblici la bandiera degli Stati Confederati. Lo aveva fatto nel luglio del 2015, dopo il massacro di Charleston, compiuto da un folle che si diceva sudista. Nikki Haley, star dei conservatori sin dalla vittoria alle elezioni di medio termine del 2010, è figlia di immigrati indiani, imprenditrice e politica lanciata dal movimento anti-statalista Tea Party allora ai suoi albori. Fu testimonial d’eccezione di un altro modo di essere immigrata e di un altro modo di intendere la femminilità, rispetto ai cliché multiculturali dei progressisti. “Io sono una figlia orgogliosa di immigrati indiani – aveva dichiarato la Haley nel 2012, durante la campagna elettorale di Mitt Romney – che ogni giorno hanno ricordato a me, ai miei fratelli, a mia sorella, quanto fossimo fortunati a vivere in questo Paese. Nessun giorno è stato facile. Non c’è stato alcun giorno in cui mamma e papà non abbiano speso tutte le loro energie per trasformare la nostra azienda in un successo”. La Haley rappresenta bene la famiglia-imprenditrice di immigrati, che si rimbocca le maniche e ha successo senza alcun aiuto. Il governo federale, così come è stato impostato da Obama, è un peso, non un sostegno: “È triste dirlo, ma la parte più dura del mio lavoro continua ad essere questo governo federale, questa amministrazione, questo presidente. Come ho detto, i miei genitori, venendo in America, amavano questa idea: l’unica cosa che ostacola il tuo successo sono i paletti che tu stesso ti poni. Sfortunatamente, negli ultimi anni, puoi anche lavorare duramente, cercare di aver successo, rispettare le regole, ma il presidente Obama cercherà sempre di metterti i bastoni fra le ruote”. Da donna repubblicana “che non deve chiedere mai” ad ambasciatrice all’Onu: andrà a rappresentare l’America che ora viene tacciata di razzismo e sessismo. Sempre che qualcuno abbia il coraggio di dirglielo in faccia…
Betsy DeVos è un altro simbolo della politica conservatrice e potrebbe dare il via a un’importante inversione di tendenza nell’istruzione, favorendo la libertà di scelta. Nel 1993, assieme al marito Dick, aveva contribuito alla stesura della legge sull’istruzione nel Michigan, il suo Stato. Da intendersi come la base di partenza per un progetto su scala nazionale per resistere alla progressiva statalizzazione dell’istruzione. L’American Federation for Children (Afc), da lei fondata, ha svolto un importante lavoro di lobbying per sostenere tutti i candidati favorevoli alla libertà di scelta dell’istruzione. Fra questi figuravano anche l’ex governatore della Louisiana Bobby Jindal e l’ex governatore dell’Indiana Mitch Daniels. Quest’ultimo ha effettivamente istituito un sistema di buono scuola nel suo Stato, che il suo successore Mike Pence ha poi ulteriormente esteso. Nelle elezioni di quest’anno, i candidati approvati e sostenuti dall’Afc erano 121, sia locali che nazionali. L’89% di essi è stato eletto. Betsy DeVos non intende la libertà di scelta dell’istruzione solo come “buono scuola”, ma come restituzione alla famiglia della facoltà di educare i figli, in tutte le sue forme: “buono scuola, credito d’imposta, scuole virtuali, scuole inter-distrettuali, home schools e charter schools”. L’importante è, dal suo punto di vista, arrestare la tendenza attuale che procede speditamente verso il monopolio statale su scala nazionale. Dal suo punto di vista, è esattamente questa la causa del progressivo calo di rendimento delle nuove generazioni. Come si può ben immaginare, la storia di Betsy DeVos è stata caratterizzata da una lotta continua contro i potenti sindacati degli insegnanti. E non c’è da stupirsi che i media, anche in Italia, si stiano ora accanendo contro di lei, mettendola in cattiva luce in tutti i modi.
Con due donne così forti, passa in secondo piano la nomina (per ora solo anticipata dai media) al nuovo segretario al Commercio. Non un politico, come ci si poteva attendere, ma un imprenditore: Wilbur Ross. E’ noto al pubblico col nomignolo non molto edificante di “re della bancarotta”. Non nel senso che ha fatto lui stesso bancarotta, ma perché, da investitore, ha rilevato importanti aziende in bancarotta per ristrutturarle, rivalutarle e rivenderle. Un lavoro da “avvoltoio” secondo i critici che, però, nell’ottica di Trump, è particolarmente importante in un periodo di crisi. C’è Ross, infatti, dietro al programma economico che mira a rilanciare le imprese in America. E’ sempre lui che ha acceso il riflettore su quella classe media rimasta emarginata. E’ fortemente critico sulle politiche democratiche favorevoli ai super-ricchi (i vincitori della globalizzazione), così come ai super-poveri (beneficiati dai sussidi statali), ma non di tutto quel che c’è in mezzo. Ha ispirato il programma di tagli fiscali proposto da Trump. Ora, se dovesse essere confermato al Commercio, dovrebbe vedersela con cinesi e messicani, i principali concorrenti presi di mira dal nuovo presidente.