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SCHERZI MACABRI

Trump "decapitato". L'odio politico della sinistra Usa

"Uccidere Trump" è ormai un motto che va di moda nella sinistra. L'attrice comica Kathy Griffin mostra il presidente con la testa mozzata. Poi deve chiedere scusa e viene licenziata dalla Cnn. Non è solo lei il problema. Odio e delegittimazione del presidente Trump (e di Bush prima di lui) sono ormai diffusi.

Esteri 01_06_2017
"Kill Trump" meme

Donald Trump, che è diventato zimbello della rete per un errore di battitura (in un tweet ha introdotto il neologismo covfefe), non è solo oggetto di scherno, ma anche di odio puro mascherato da umorismo. Perché obiettivamente è difficile trovare qualcosa da ridere in una testa mozzata. E’ così che si è mostrata la comica statunitense Kathy Griffin: con in mano la testa del presidente mozzata e insanguinata, abbastanza realistica da apparire quasi vera a un primo distratto sguardo.

La Griffin, dopo meno di un giorno, subissata da critiche di pubblico e personalità pubbliche, ha poi deciso di chiedere scusa. Dice di aver passato “una linea che non avrebbe dovuto varcare”, che non è solo quella che divide il buon gusto dal cattivo gusto, ma l’umorismo dall’istigazione all’odio. Ha anche chiesto al fotografo Thyler Shields, autore dello scatto, di rimuovere l’immagine da Internet. “Kathy Griffin dovrebbe vergognarsi – ha detto il presidente Donald Trump – I miei figli, soprattutto mio figlio Barron, di 11 anni, hanno vissuto male questo scherzo”. “Lo dico da madre, moglie ed essere umano: quella foto è inquietante”, ha dichiarato Melania Trump. “Disgustoso, ma non sorprendente – ha commentato Donald Trump Jr, figlio del presidente – Questa è la sinistra di oggi”. Ma anche la figlia di Hillary Clinton si è sentita in dovere di commentare: “Non è mai divertente scherzare sull’uccisione di un presidente”. Mitt Romney, che durante le primarie (e anche dopo) era capofila dei repubblicani “never Trump”, ha comunque preso le difese del capo di Stato: “La nostra politica è diventata troppo viscerale, bassa e volgare, ma la foto di Kathy Griffin discende in un terreno ancora più ripugnante e vigliacco”. Nonostante il videomessaggio di scuse, la Griffin è stata comunque allontanata dalla Cnn, che ieri ha rescisso il suo contratto di collaborazione per il programma New Year’s Eve.

Tutti contro l’attrice, dunque. Ma questo coro unanime di condanne sembra quasi una presa di coscienza, dopo quasi un anno di istigazione all’odio. Un odio puro che risuona nelle parole alate usate dall’attrice Jodie Foster, nella manifestazione di protesta all’indomani dell’insediamento del nuovo presidente: “E’ giunto il nostro momento di resistere”. “Resistere”, non fare opposizione, come in una normale democrazia. La faccia del presidente, inquadrata nel mirino di un fucile di precisione, con la scritta “Kill Trump” era diventato un tormentone su Twitter nei primi mesi della sua presidenza. “Kill Trump” è la scritta apparsa sui muri delle università e delle città percorse dalle manifestazioni della sinistra. Durante la campagna elettorale l’odio era già carico e lo sparo poteva esserci, a maggio, a primarie appena concluse. Michael Sandford, cittadino britannico, era riuscito ad avvicinarsi fino a cinque metri dal neo eletto presidente e aveva cercato di rubare una pistola a un poliziotto di scorta, prima di essere arrestato.

Il problema è la non accettazione del presidente come legittimo capo di Stato, eletto liberamente dalla maggioranza degli americani, secondo il sistema elettorale statunitense. E’ un’idea che in questi mesi viene alimentata dal Russia Gate, l’indagine su eventuali contatti fra lo staff di Trump (prima delle elezioni) e il Cremlino. Un’indagine che, comunque si concluda, non toccherà in alcun modo la legittimità del voto, che è stato regolare, ma viene presentata con titoli sparati che inducono a pensare che le elezioni siano state manipolate dall’esterno. Una settimana fa, l’editoriale del New York Times di Ross Douthat, invoca l’applicazione del 25mo emendamento per esautorare Trump e sostituirlo con il vicepresidente Mike Pence. Qualunque azione del presidente, dai segreti svelati ai russi (ma secondo la legge), ai modi bruschi di comportarsi di fronte ai fotografi, dall’assenza del presidente nel party dedicato alla stampa alla sua decisione di escludere dai briefing i giornalisti delle testate più ostili: tutto, invariabilmente, viene descritto come una minaccia alla sicurezza nazionale. Chiaro che, in un clima del genere, qualcuno che voglia decapitare il presidente, anche per davvero, prima o poi si farà avanti.

E non è solo una degenerazione della sinistra “di adesso”. Si tratta di una delegittimazione della destra che ha ormai almeno dieci anni. Il rispetto per il presidente George W. Bush era talmente basso che un regista indipendente, Gabriel Range ne raffigurò la morte in un finto documentario, per altro molto realistico, Death of a President, del 2006. Lo stesso George W. Bush, pur essendosi completamente ritirato a vita privata, è stato dato per morto tre giorni fa, in uno scherzo di cattivo gusto diffuso sui social network. Sarebbe deceduto alle 11 di mattina del 29 maggio, secondo l’anonimo autore. Anche per Bush, quando era alla Casa Bianca, l’impeachment è stato invocato più volte. In Italia conosciamo bene questi metodi. Abbiamo visto cosa si era scatenato contro Berlusconi, incluso lo spettacolo “comico” Killing Berlusconi (2004), con tanto di processo istruito dagli attori, con il pubblico come giuria. Come ai tempi dei gladiatori.