Tresche in corsia
È praticamente impossibile trovare tra i medici protagonisti delle fiction americane uno che abbia una famiglia o una situazione sentimentale lineare. Tra divorzi e separazioni, situazioni che ammiccano costantemente al voyeurismo degli spettatori.
La formula narrativa che vede i medici delle fiction americane ultraefficaci in sala operatoria ma completamente inetti nella gestione degli affetti trova in “Private Practice” (RaiDue, giovedì ore 21.10) un chiaro esempio. Nata come spin-off della fortunata “Grey’s Anatomy”, la serie è tornata ieri sera con la prima delle nuove puntate ripartendo da dove si era chiusa la precedente, quando una psicologa era stata assalita e ferita gravemente da una squilibrata che le aveva sottratto il nascituro dal ventre.
Non è questo l’unico trauma su cui si imperniano le vicende dell’équipe medica della fittizia clinica privata Oceanside – Wellness Group di Los Angeles, con la dottoressa Allison Montgomery nel ruolo di protagonista principale. Quanta è la perizia medico-scientifica nell’affrontare – e solitamente risolvere – i casi anche più difficili, tanta è la superficialità nella gestione degli affari di cuore, intrecciati con le vicende professionali a un livello decisamente superiore a quello che caratterizza la media delle produzioni americane del genere.
Praticamente impossibile trovare tra i medici uno che abbia una famiglia o una situazione sentimentale lineare, tra divorzi, separazioni, lutti e tresche più o meno conclamate. Il “Private” del titolo si riferisce più alle vicende di cuore che all’ambiente sanitario che fa da cornice. È proprio il paradosso generato dalla doppia velocità in corsia e fuori a generare situazioni che ammiccano costantemente al voyeurismo degli spettatori, sovrapponendo i dilemmi esistenziali a quelli connaturati alla professione medica.