Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Macrina la Giovane a cura di Ermes Dovico

IL CASO

Tra i costi della politica anche la corruzione

Oltre a indennità e privilegi, pesa nel nostro Paese l'intreccio tra politica e affari e l'oneroso finanziamento pubblico ai partiti.

Attualità 11_01_2012
parlamento


La questione dei costi della politica, presenta iniquità, privilegi, prebende da eliminare. E’ un dato di fatto, divenuto insostenibile per uno Stato moderno, dominato da apparati che si auto-alimentano e che sono divenuti onnivori nella spartizione del potere e dei suoi benefici. Se questo è vero, le pagine intere che a questo tema dedicano i principali giornali italiani, Repubblica e Corriere della Sera in testa, sono anacronistiche e prive di significato. Per una serie di ragioni che proviamo ad

La prima deriva dalla considerazione che l’antipolitica che queste testate alimentano, si riferisce solo a quisquilie e pinzillacchere, direbbe Totò. Per carità, il prezzo dei pasti nei ristoranti di Montecitorio e Palazzo Madama, le tessere ferroviarie e autostradali o anche le indennità, sono questioni importanti, ma marginali rispetto all’intreccio tra politica e affari, all’uso improprio della cosa pubblica, che spesso viene coltivata come proprietà privata. Gli effetti di questa vera e propria metastasi, si possono annoverare tra i costi indiretti della politica, che fanno dell’Italia - lo ha rilevato nello scorso mese di dicembre, il Presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, durante un'audizione alla Camera dei Deputati - il 69° paese all'indice di percezione della corruzione, a livelli di Ghana, Isole Samoa e al quartultimo posto in Europa, prima di Grecia, Romania e Bulgaria. In una sua precedente audizione, sempre alla Camera, il 14 settembre, Giampaolino quantificava così il costo del fenomeno-corruzione per il paese: “Settanta miliardi sono una quantificazione fatta dalla procura in base a rapporti della guardia di finanza. Quella è l'indicazione e la confermo”. Su una scala di valutazione da 0 (corruzione dilagante) a 10 (per nulla corrotto), il nostro Paese ha una valutazione di 3,9. Dato ancora più preoccupante, il fatto che non esista, al momento, un organismo specifico ed un programma nazionale che coordini le strutture adibite a combattere il fenomeno. La legge anticorruzione, varata dal governo Berlusconi e approvata in Senato, è ancora bloccata alla Camera.

Il Presidente della Corte dei Conti ha anche aggiunto che “i reati di corruzione sono caratterizzati da una rilevante difficoltà di emersione. Esiste inoltre una scarsa propensione alla denuncia, non solo perché si tratta di comportamenti che, spesso, nascono da un accordo fra corruttore e corrotto - e nessuno di questi soggetti ha interesse a far scoprire il fatto - ma anche perché, nell’ambiente in cui essi sorgono, anche le persone estranee al fatto, ma partecipi all’organizzazione, non dimostrano disponibilità a denunciare fenomeni di tal tipo”. Questo dimostra che accanto alle responsabilità della politica, vi sono anche quelle della cosiddetta società civile: in apparenza vittima, in realtà essa alimenta e favorisce, in modo perverso, la situazione di degrado nella quale siamo immersi. Una delle definizioni classiche del sistema mafioso è il rapporto solidale e criminogeno che s’instaura in un corpo sociale. Non si è lontani da questa realtà, perché non esiste, come si vuole far credere, una contrapposizione tra una politica sporca e una società civile che ne è vittima e che ne subisce le nefandezze. Individuare solo nella politica il nemico e porlo al pubblico ludibrio, è fuorviante e sarebbe compito della grande stampa evidenziare che la realtà è molto più

Così come, un discorso serio sui costi della politica dovrebbe riguardare la voce del finanziamento pubblico ai partiti. E’ sufficiente un dato: in base alla normativa attualmente in vigore, a fronte di spese dimostrate di 579 milioni di euro, dal 1994 al 2008 i partiti si sono spartiti 2,25 miliardi di euro, con un utile di ben 1,67 miliardi di euro. A questo dato, si aggiunge il fatto che la legge in vigore, oltre a prevedere ben cinque fondi di danaro pubblico dispensato ai partiti - elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, Regionali, e per i referendum - erogati in rate annuali, con un quorum dell’1% per ottenere il rimborso elettorale, dispone che l'erogazione sia dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. Per non parlare, poi, delle sovvenzioni all’editoria di partito, altro settore rispetto al quale converrebbe guardare con attenzione. Le risorse pubbliche dispensate ai partiti sono così consistenti che questi possono da un lato evitare di promuovere l’autofinanziamento e fare quindi pagare la politica ai cittadini che la vogliono praticare, dall’altro sono quasi obbligati a far proliferare Fondazioni di loro diretta emanazione, alle quali intestano beni anche di carattere patrimoniale, che diventano bracci armati dell’iniziativa politica o di quella pseudo-culturale.

Come si vede, il quadro è molto più articolato di quello che viene proposto e riguarda anche la realtà, solo italiana dei politici di professione, a vita. Seminare discredito nei confronti della politica, prendendo a pretesto cose di poco conto, senza occuparsi di quelle ben più sostanziose e significative, ha come diretta conseguenza il rafforzamento di un Governo che si dichiara tecnico, ma che in realtà, forte del consenso dei poteri nazionali e internazionali che contano, si propone di mettere in naftalina la politica, che ha fatto peraltro la sua parte per essere ridotta a questo. Dalla politica - e a maggior ragione, proprio in questa fase - ci si dovrebbe attendere un progetto di riforme in grado di restituirle la sua nobiltà e qualche speranza per il futuro