Tornare indietro, ma quanto? Meloni sfida il Leviatano Ue
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Nel volere un'Europa che torni indietro, Meloni esprime il rifiuto di uno Stato europeo che toglie sovranità. Ma si deve tornare indietro anche dentro gli Stati, ispirandosi a un collante culturale e religioso.
L’intervento di Giorgia Meloni alla convention di Vox, il partito della destra spagnola, alla presenza di Marine Le Pen della destra identitaria francese, ha proposto una critica piuttosto incisiva dell’attuale Unione, anche se non proprio radicale, avendo poi adombrato la possibilità di una maggioranza parlamentare di centro-destra che vada dalla Le Pen alla Von der Layen passando per Giorgia.
Molte le frecce lanciate contro Bruxelles dal podio della convention, ma forse la novità più interessante, anche perché formulata per via sintetica e per questo più incisiva, la Meloni l’ha detta rispondendo ad alcune domande di Tgcom 24: «In questi anni l’Europa ha messo in atto una limitazione della libertà degli Stati nazionali da cui si deve tornare indietro. L’Europa può dare degli obiettivi, ma non può impegnarsi su questioni di lana caprina … sappiamo come cucinare gli insetti ma non abbiamo una politica estera comune». Questo spunto ha il merito di rimettere in questione l’Unione stessa come finora è stata intesa, ma ha anche bisogno di alcuni chiarimenti.
Prima di tutto va ricordato che l’Europa (e quindi anche l’Unione Europea, a patto che non voglia rompere con l’Europa come finora è avvenuto) non è prima di tutto e soprattutto un insieme di Stati, ma di popoli e di nazioni e che a loro volta quei popoli e quelle nazioni sono una unione di famiglie, di comunità locali e di aggregazioni sociali. La storia dell’Europa è stata fatta dal basso, anche se in collegamento con una dimensione universale sia politica che religiosa, almeno fino alla pace di Augusta del 1555 e soprattutto alla pace di Westfalia del 1648, quando emersero nel continente appunto gli Stati in un significato nuovo fondato su una sovranità politica stabilita in modo innaturale.
Lo Stato Leviatano, mostro gelido, dio in terra, assoluto e soprattutto “sovrano”, si proponeva come fondamento della società politica, delle famiglie, delle comunità locali e delle nazioni che tali erano perché esso, lo Stato, le costituiva tali e non viceversa, come si pensava in precedenza. La nozione di sovranità – non riconoscere niente al di sopra di sé - è stata incarnata dallo Stato moderno ispirato da Lutero, teorizzato da Hobbes, realizzato da Napoleone, descritto da Weber, e che in Europa si assise al di sopra di quanto fino a quel momento si pensava stesse sotto, a suo fondamento e giustificazione.
Questo offre alcuni criteri per valutare la visione di Giorgia Meloni. Cedendo parte della propria sovranità alle istituzioni europee, soprattutto nel passaggio dalla Comunità all’Unione con i Trattati di Maastricht e di Lisbona, gli Stati europei hanno trasferito all’Unione Europea la loro stessa struttura sovrana, sicché era inevitabile che anche l’Unione tendesse a diventare un nuovo Leviatano. Gli Stati membri stessi avevano una struttura centralistica e artificiale, organizzata dall’alto verso il basso, per niente sussidiaria, irrispettosa delle autonomie naturali, sociali e territoriali.
Se queste sotto sotto sono sopravvissute, pur se fortemente indebolite, lo si è dovuto alla resistenza della dimensione naturale della convivenza sociale nonostante gli interventi violenti, innaturali e artificiosi della politica di vertice. L’Unione europea è senz’altro un potere centralizzato, artificiale e ideologico, ma lo erano e in parte lo sono anche gli Stati che l’hanno costituita e vi fanno parte. Il modello centralistico degli Stati europei moderni è stato trasferito all’Unione Europea e da essa peggiorato, reso più artificioso e volutamente ingarbugliato, maggiormente dipendente dai grandi centri del potere privato e dalle corporazioni di interessi.
Nelle parole di Giorgia Meloni c’è giustamente il rifiuto di uno Stato europeo talmente sovrano da togliere anche quel po’ di sovranità che ancora mantengono gli Stati nazionali, bisognerebbe però attuare il cambiamento anche dentro gli Stati, ossia di ristrutturarsi valorizzando le società naturali come la famiglia, i municipi, le regioni e le nazioni. Se a Bruxelles si pretende di dirci come cucinare gli insetti, di lasciare i campi incolti, o che tipo di auto acquistare, non è difficile elencare una lunga serie di esempi simili interventi statali astrusamente obbliganti i comportamenti dei cittadini, e senza nemmeno ricorrere al biennio Covid.
Una Unione Europea che tornasse ad essere “comunità di comunità” – interessante quel “si deve tornare indietro” della Meloni che chiede però un chiarimento su quanto indietro - , ispirandosi non al modello dello Sato moderno ma a forme di vita politica precedenti, avrebbe anche bisogno di un collante culturale e religioso. Fa piacere sentir parlare a questo proposito di “radici cristiane” o di “famiglia” e su questo piano qualsiasi altra maggioranza farebbe con poco sforzo meglio dell’attuale. Ma la risposta all’attuale europeismo nichilista dovrebbe essere più consistente e le stesse forze politiche chiamate a raccolta da Giorgia Meloni nella convention di Vox non soddisfano pienamente, per esempio, sul tema della difesa della vita.
Come si vede, queste elezioni europee ci costringono a misurarci non solo con questo o quest’altro ambito della politica, ma con la politica in quanto tale. Sono elezioni politicamente esigenti, perché chiamano in causa i fondamenti della politica sia europea che nazionale.