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Medio oriente

Tornare a casa. I profughi di Mosul non chiedono altro

Due anni dopo la sconfitta dell’Isis la ricostruzione a Mosul e nella piana di Ninive è lenta, per il ritorno dei profughi ancora mancano le condizioni di sicurezza e le opportunità di lavoro

A due anni dalla sconfitta militare dell’Isis, poco è stato fatto per restituire alle famiglie dei profughi casa e sicurezza. A dirlo è padre Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya: “manca tutto, i bisogni sono tanti mentre risorse e aiuti sono sempre meno”. A Mosul e nella piana di Ninive “i lavori di ricostruzione non sono ancora partiti perché manca ancora oggi un governo locale stabile e le ong internazionali, le stesse associazioni legate alla Chiesa non possono avviare i progetti per mancanza di sicurezza e per i fondi sempre più esigui”. La situazione, prosegue padre Samir in una intervista alla agenzia di stampa AsiaNews, “resta di emergenza, il problema di fondo è la mancanza di lavoro, si fa fatica persino a trovare i soldi per permettere ai bambini di pagare un mezzo di trasporto che li porti a scuola”. I profughi speravano di tornare a casa, molti lo hanno fatto. Ma “quello che vediamo oggi è un flusso inverso, di ritorno verso il Kurdistan iracheno perché nelle zone di origine non vi sono le condizioni per ricostruire una vita in totale sicurezza. La città vecchia a Mosul - racconta p. Samir - dove sorgono le chiese più antiche, è ancora distrutta. I servizi non sono ancora tornati. Nella piana di Ninive va un po’ meglio, ma molto resta ancora da fare. E dopo due anni dalla fine della guerra, sono poche le iniziative che avrebbero dovuto incoraggiare la gente a tornare. Serve un lavoro enorme in tema di sicurezza, distribuzione dell’acqua, opportunità di lavoro, ospedali, scuole”. Inoltre, anche se ora l’Isis controlla soltanto una piccola area tra Iraq e Siria, “l’ideologia dell’Isis è ancora presente. La questione irachena non è solo economica, non abbraccia solo la sicurezza, ma ruota attorno a un conflitto religioso e politico fondato sull’Islam. Siamo nel bel mezzo del Golfo, questa è la nostra fortuna ma al tempo stesso la nostra sfortuna: viviamo fra conflitti, tensioni che si sono inasprite nel contesto dell’escalation fra Iran e Arabia Saudita. Ogni gruppo vuole controllare, governare e questo non fa che aumentare il senso di insicurezza e ostacolare il ritorno dei profughi”.