Tagliare i presidi, una misura controversa
Se l'obiettivo è ridurre i costi del sistema scolastico statale, allora prendiamo a modello le paritarie che coniugano efficienza ed economia.
E’ di alcuni giorni fa la notizia di un dispositivo, nel disegno di legge del governo al vaglio del parlamento (Legge di stabilità), mirante a "tagliare" le poltrone di preside e, se la legge verrà approvata così com'è, verranno tagliati, in un triennio, un terzo dei posti dei dirigenti scolastici attuali (presidi).
Come qualcuno ha fatto notare, si tratta di un tentativo del Governo di ridurre a più miti consigli quelle Regioni che non vogliono applicare il Piano (molto controverso a livello politico, ma soprattutto sindacale) di dimensionamento delle singole scuole voluto dal ministero della P.I fin dal settembre 2008, che tenta di applicare una precedente norma legislativa con lo scopo di procedere a una "razionalizzazione della rete scolastica", vale a dire una ottimizzazione delle dimensioni, in termini di alunni iscritti, delle singole scuole.
In altri termini, le Regioni, che hanno la competenza in materia di distribuzione territoriale delle scuole, possono ricorrere, e l'hanno fatto, contro il piano di dimensionamento (che prevede accorpamenti tra scuole per avere un numero minimo di alunni iscritti da 400 a 600 unità), opponendosi di fatto a questa razionalizzazione. Il governo, che gestisce e assegna il personale a tutte le scuole italiane (dirigenti, docenti e amministrativi), risponde negando posti di dirigenza a scuole troppo piccole e affidandole a presidi già in ruolo.
In questa controversia si inserisce un altro elemento di tensione. Il ministero ha già bandito un concorso per assegnare posti di preside, ma il concorso, che pur ha tardato molto a partire, rischia di illudere gli eventuali vincitori, poiché al momento dell’assegnazione dei posti potrebbe verificarsi l’ipotesi che essi siano, nel frattempo, scomparsi.
Questa misura restrittiva ha l’evidente scopo di tagliare le spese del comparto scuola e si accompagna ad altre altrettanto controverse. Ne cito una, che ha sollevato denunce del Codacons, tra le più note e impopolari: l’aumento di alunni, fino e oltre il numero di trenta per classe.
Il ricorso del Codacons poggia sul fatto che esiste una norma di legge che stabilisce, per ragioni di sicurezza, il numero massimo di alunni per classe, sulla base delle dimensioni e delle caratteristiche delle aule destinate ad ospitarle. In molti casi, sembrerebbe, le aule non rispettano tali caratteristiche.
Come si può osservare da questi esempi, oltre che ad essere vittima delle diatribe politiche, la scuola costa troppo. Il dimensionamento delle sedi scolastiche, in questo periodo di vacche magre, è una necessità per chi deve contenere la spesa. D'altra parte, a favore del piano ministeriale si deve dire che gli istituti cosiddetti “onnicomprensivi” (brutta parola per indicare scuole nate dall'accorpamento di due o tre scuole più piccole) sono già una realtà, soprattutto nei grandi centri urbani e nelle aree metropolitane e funzionano discretamente.
L'idea del ministro è che alla fine ci siano meno scuole, anche se con una più alta densità di studenti, e, in sostanza meno docenti e, quindi, meno dirigenti da retribuire. Se è così, per tornare al taglio delle poltrone di preside, sarebbe strano immettere in ruolo dirigenti (con più alta retribuzione) per scuole che non ci saranno, almeno secondo i piani ministeriali, e doverli comunque mantenere ai livelli retribuitivi acquisiti, una volta entrati in ruolo,anche in assenza del posto.
Nella scuola non statale, sia pure con risorse inferiori (e quindi meno dirigenti e meno personale docente) a parità di numero di studenti per classe, si riescono ad ottenere, comunque, buoni risultati di apprendimento negli alunni e di soddisfazioni delle famiglie.
Se consideriamo, infine, che nella la scuola statale i costi per studente all'anno ammontano a 5.828 euro nella scuola dell'infanzia, 6.525 nella primaria, 7.232 nella secondaria di primo grado e 7.147 nella secondaria di secondo grado, mentre in una buona scuola paritaria, a Milano, la retta per le famiglie si aggira su importi mediamente inferiori del 30%, una buona idea (ma siamo nel campo della fantapolitica) potrebbe essere quella che lo Stato passasse la scuola ai cittadini che la sanno e la vogliono fare. Oltre a liberarsi dei grattacapi di cui s’è detto, risparmierebbe anche una montagna di soldi.