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Mondiali 2018

Tabarez, il Ct in stampella che ha educato l'Uruguay

La malattia che lo ha colpito nel 2016 per cui allena, grida ed esulta in stampella, ha gettato i riflettori sul Ct uruguaiano Oscar Tabarez, che però sono anni che vive la nazionale come la costruzione di una cattedrale. Perché quello che conta non è solo il talento «ma l'educazione» e perché «bisogna saper scommettere sulle persone». Per questo i giocatori per lui "si butterebbero" nel fuoco.

Sport 06_07_2018

L’immagine di Oscàr Tabarez, 71 anni, che esulta per il goal al 90esimo minuto di Cavani contro l’Egitto ha fatto il giro del mondo. Perché “El maestro”, come viene soprannominato il Ct dell’Uruguay che da giovane insegnò alle elementari convinto che il futuro della sua nazione fosse l’educazione, affetto dal 2016 da una neuropatia cronica (sindrome di Guillain-Barré), all’inizio è scattato in piedi senza poter entrare in campo, finché non si è girato per recuperare la sua stampella e finalmente raggiungere la nazionale in visibilio.

Ma Tabarez aveva già dimostrato di essere un uomo forte e umile insieme quando fu cacciato dopo 11 giornate dal Milan di Berlusconi, perché tornando nel suo paese non si scompose né attaccò la dirigenza rossonera. Legato a valori essenziali come la famiglia (è sposato con 4 figlie), la nazione e l’educazione non ha preteso un cambiamento immediato dell’Uruguay, considerata una squadra troppo violenta, dopo che fu chiamato a guidarla nell’88 (fino al ’90) e poi ancora dal 2006 ad oggi. Ma ha lavorato con pazienza per farla crescere fino a portarla alle semifinali nei Mondiali Sudafrica 2010 e alla vittoria della Coppa America 2011 (per cui il Ct vinse il titolo di miglior allenatore di nazionale), lavorando su ciascun giocatore proveniente da una popolazione di appena 3 milioni e mezzo di abitanti. 

E perfino quando nel 2016 gli fu diagnosticata la malattia, Tabarez decise di non mollare l’opera sui cui lavorava da anni, spiegando senza romanticismi: «Mi chiedete come sto? Più vicino alla fine che all’inizio. Come del resto tutti quelli della mia età, ma stavo molto peggio un anno fa, e poco prima. Ho dei ragazzi intelligenti, un gruppo di lavoro fantastico: se in campo non posso più fare quello che facevo prima, lo capiscono e mi sento rispettato. Le sfide, le grandi sfide, mantengono vive le persone». A dargli ragione sono i suoi giocatori che per lui, si dice che si "butterebbero" nel fuoco. Soprattutto ora, che lotta al loro fianco nonostante gli ostacoli fisici. 

Il centrocampista Nahitan Nandez ha spiegato come il Ct lo ha cresciuto: «Ogni palla che mi arrivava mi faceva venir voglia di trattenerla per altri 20 metri in avanti» ma «Il Maestro ha detto che non dovevo farlo, che dovevo giocare per la squadra». Mostrando la filosofia di un uomo che non crede solo nei grandi campioni, come ha fatto capire dopo la vittoria contro il Portogallo di Cristiano Ronaldo: «La caratteristica distintiva del gioco è stata la dedizione dimostrata da tutti i giocatori sul campo, e questo è il modo in cui vediamo il calcio». Nandez ha aggiunto che «quando Suarez e Cavani hanno iniziato non erano così, nemmeno Godin. È stato lui a far crescere questi giocatori». Il portiere della nazionale, Fernando Muslera, lo ha confermato all'Associated Press: «Ciò che il Maestro ha ottenuto in questo momento è enorme perché ha iniziato completamente da zero, ha creato tutto ciò che abbiamo raggiunto e ciò che deve ancora venire, se l'Uruguay è così apprezzato in tutto il mondo è perché lui lo ha reso così».

Ma al gruppo di giocatori colpiti dalla sua umanità, Tabarez ricorda sempre: «Restiamo umili e non pensiamo di essere speciali solo perché diamo tutto sul campo per la Celeste. Solo così possiamo andare fino in fondo». Tanto che di ritorno dal Mondiale 2010, in cui l’Uruguay si era piazzato al quarto posto, Tabarez chiarì senza troppi fronzoli che il successo fatto «anche dalle difficoltà che si superano per ottenerli, dalla lotta costante e dallo spirito con cui si affrontano le sfide. Il cammino è la ricompensa». Non a caso quando nei Mondiali successivi, all’uscita dagli ottavi, la figlia gli disse «papà, molla qui, per favore», lui rispose che no, «vado avanti, perché ho un lavoro da fare. E il difficile viene proprio adesso». Ecco perché, sostiene lui, la sua squadra è «molto forte in termini di mentalità». Anche se quello che ha promesso a Mosca è solo una cosa, che «l’Uruguay combatterà in ogni partita».

È chiaro però che i suoi calciatori lo amano perché non è solo un allenatore ma un educatore autorevole e paterno, che chiede loro di essere puliti dentro ma anche fuori dal campo. «Essere un allenatore è anche essere un educatore», che insegna e impara, spiegò Tabarez al The Guardian nel 2014: «Ogni giorni imparo qualcosa…l’esperienza non è solo aspettare che il tempo passi» perché se non «si riflette sulle cose che accadono, qualsiasi sia l’età, non ne avrai mai fatto esperienza». L’esperienza per cui è capace di guardare i suoi giocatori al di là delle apparenze: «A volte, posso garantirlo, le previsioni svaniscono…quello che sembra essere un fuoriclasse non ha nulla di garantito e un altro, il ragazzo tarchiato invece…può finire per sorprendere il mondo intero. Questo è quello che fanno le persone. Ti sorprendono». Perciò Tabarez osserva i suoi crescere e «mi faccio domande», sapendo che «solo chi si sente pienamente investito di un compito è in grado di provare a dare quel tocco in più…accade quando punti alla persona, non al pacchetto calciatore», perché «non alleno dei vip ma delle persone con sentimenti, doveri e doveri comuni…Se vuoi un gruppo solido, devi iniziare dando lo stesso rispetto a quello che è famoso come a colui che non lo è». 

Soprattutto «devi essere coerente - spiegò il Ct. Chi guida il gruppo deve assicurarsi che ci sia molta armonia tra quello che dice e quello che fa, il calciatore sa quando un allenatore dice qualcosa e poi fa altro». Perciò in questo mondiale si è visto Suarez, che avrebbe potuto andare in porta da solo, passare la palla a Cavani che ha già segnato tre gol. Si capisce quindi quando Diego Godin definisce Tabarez «un modellatore di valori». Mentre Luis Suarez ha sottolineato che «ha un tratto paterno che consente al giocatore di aprirsi con lui, anche quelli come me che un padre su cui contare non l’hanno avuto. Il Maestro ti lascia sempre con una buona lezione».

E quando il Ct dice ai giocatori che «devono portare la stanchezza e la vittoria nello spogliatoio, la fatica di aver dato tutto là fuori», non è credibile solo per la grande umanità e per la sua battaglia fisica, ma anche per una vita privata non sempre facile. Sebbene riservatissima, è noto che dopo la vittoria della Coppa America nel 2011 la moglie, Silvia Martinez, con cui si sposò dopo un un lungo fidanzamento, venne sfregiata al volto con l’acido, probabilmente da una ex dipendente di casa, aprendo un processo molto doloroso per la sua famiglia da cui Tabarez uscì a testa alta. Forse ciò che davvero gli permette di reagire ad ogni prova è la sua accettazione della vita: «A volte sto meglio, a volte sto peggio. Ma, sino a quando Dio me lo permetterà, continuerò ad allenare».