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SIRIA

Suore di Maaloula, chi c'è dietro il loro rilascio

Le milizie di Al Nusrah hanno liberato le suore ortodosse rapite a Maaloula tre mesi fa. Il loro rilascio è stato filmato e presentato come una vittoria sui siti islamisti. C'è speranza per padre Dall'Oglio e gli altri sequestrati?

Esteri 11_03_2014
Le suore di Maaloula

Le suore vengono caricate su un mini-van con l'autista che tiene bene in vista la bandiera delle milizie di Jabat al Nusra. È ancora giorno e l'atmosfera è serena: le religiose sorridono, rispondono alle domande, una che non è in grado di camminare viene portata sul veicolo da un miliziano incappucciato. Poi le riprese continuano anche in auto, su una strada impervia. E viene documentato persino il momento che dovrebbe essere il più delicato: quello della consegna alle forze di sicurezza libanesi, mentre si sente chiaro il grido «Allahu Akbar».

Se c'era ancora qualche dubbio sulla liberazione delle tredici suore ortodosse di Maaloula e delle tre ausiliarie sequestrate insieme a loro all'inizio di dicembre, ieri è arrivato addirittura il video islamista dell'operazione a confermare lo spessore politico di questo passaggio. È stato pubblicato su YouTube da un attivista dell'opposizione siriana quasi come una risposta preconfezionata alle prevedibili immagini delle religiose sotto la gigantografia del presidente siriano Bashar al Assad, mandate in onda poche ore prima dalle tv libanesi e siriane. Hanno filmato l'operazione i militanti di Jabat al Nusra, esattamente come avevano fatto in settembre con il primo assalto di Maaloula, quello dell'attentatore suicida che si scaglia contro il piccolo presidio militare siriano alle porte della città. Evidente l'intento: presentare anche il rilascio delle suore come una loro vittoria, rivendicata con tanto di bandiera e accompagnata appunto dal grido «Allah è grande».

Il video è interessante anche perché conferma molti dettagli trapelati in queste ore: al momento della consegna delle religiose alle forze sicurezza libanesi si vedono chiaramente i militari consegnare ai miliziani una donna e tre bambini. Come avevano riferito alcune fonti sono la garanzia delle altre 149 prigioniere siriane che poco più tardi verranno fatte espatriare in Libano quando il convoglio con le religiose di Maaloula arriverà al valico di Jdaidet Yabous. Va anche detto che a guardare queste immagini l'impressione è che la lentezza dell'operazione di domenica sia stata legata più a dettagli che a trattative trascinatisi fino all'ultimo minuto.

Così, dunque, dopo tre mesi le suore di Maaloula sono finalmente libere e ieri sono state accolte alla chiesa ortodossa della Santa Croce a Damasco, dove in serata il patriarca di Antiochia Youhanna X ha presieduto una solenne preghiera di ringraziamento. Un'occasione per continuare a pregare anche per gli altri rapiti: i sacerdoti Michel Sakkal e Isaac Mafoul, che mancano all'appello da ben tredici mesi, i due vescovi di Aleppo - il metropolita ortodosso Boutros Yazighi (fratello proprio del patriarca di Antiochia) e il siro-ortodosso Youhanna Ibrahim - scomparsi il 22 aprile 2013. E poi padre Paolo Dall'Oglio, di cui non si hanno notizie dalla fine di luglio.

La domanda di tutti oggi è: la liberazione delle suore di Maaloula rappresenta una speranza anche per loro? È giusto sperarlo, ma va anche subito aggiunto che le situazioni sono molto differenti. Il sequestro delle tredici religiose è stato fin dall'inizio un'operazione molto politica, con contatti che non sono stati praticamente mai interrotti: si sapeva con precisione dov'erano e nelle mani di chi erano. Probabilmente fin dall'inizio chi le ha sequestrate pensava di utilizzarle come una pedina di scambio per ottenere la liberazione di prigionieri.

Questo spiega anche la stranezza dell'epilogo, annunciato ben prima che l'operazione fosse conclusa e raccontato praticamente in presa diretta dai servizi di sicurezza libanesi. Tutti avevano un evidente interesse a presentarlo come un proprio successo politico. Ma c'è soprattutto un aspetto che vale la pena di sottolineare: il ruolo giocato dal Qatar. È stato lo stesso presidente libanese Michel Sleiman ieri a ringraziare l'emiro Tamim ben Hamad al-Thani per il contributo che il suo Paese ha offerto alla soluzione della vicenda. E sulla stampa di Beirut si parla addirittura di una notizia clamorosa: il responsabile dei servizi di sicurezza di Doha si sarebbe recato nei giorni scorsi personalmente a Damasco a trattare con i siriani.

Viene da chiedersi: è solo un caso che un accordo politico del genere arrivi proprio nel momento in cui il Qatar si trova ai ferri corti con l'Arabia Saudita e gli altri emirati del Golfo per via della questione egiziana, dove a differenza di Riyad e dei suoi satelliti Doha continua a sostenere i Fratelli musulmani? La settimana scorsa - con una mossa clamorosa - l'Arabia Saudita e gli Emirati avevano addirittura ritirato i loro ambasciatori dal Qatar. Sembrerebbe quasi che al-Thani gli abbia voluto rispondere facendo vedere chi è che controlla sul serio le milizie in Siria.