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STATI UNITI

Suore americane "eretiche": «Va tutto bene»

Presentato dopo sei anni di indagine il giudizio della Santa Sede sugli istituti religiosi femminili negli Usa. Nessun provvedimento, solo dialogo. È forse anche un messaggio alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che sta conducendo un'altra indagine sulla più vasta associazione di religiose, che seguono tesi «opposte alla rivelazione cristiana»

Ecclesia 17_12_2014
Joao Braz de Aviz

Tutto è bene quel che finisce bene. Dopo sei anni di indagine, la visita apostolica «che non ha precedenti» a 341 istituti religiosi femminili impegnati in ministeri apostolici su tutto il territorio degli Stati Uniti s’è conclusa in modo positivo. Il giudizio della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di vita apostolica è stato svelato ieri mattina durante una conferenza stampa in Vaticano, cui hanno partecipato il cardinale prefetto João Braz de Aviz, il segretario del dicastero mons. José Rodriguez Carballo, la visitatrice Madre Mary Clare Millea, la coordinatrice del Council of Major Superior of Women Religious, suor Agnes Mary Donovan e la presidente della Leadership Conference of Women Religious, suor Sharon Holland.

Nel 2008, l’allora prefetto, il cardinale sloveno Franc Rodé aveva istruito la visita in quanto dagli Stati Uniti erano giunti a Roma segnali inquietanti circa certe derive maturate all’interno di diversi istituti femminili locali. Spiegava Rodé alla Radio Vaticana  che «in un certo senso, si può dire di una certa mentalità secolarista che si è propagata in queste famiglie religiose, forse anche un certo spirito femminista». Inoltre, precisava il porporato, vi era la necessità di indagare sul drastico calo di vocazioni registrato negli ultimi decenni in America del nord. «Sotto l’influsso del Concilio Vaticano II, i religiosi hanno rifiutato la penitenza e l’ascetismo come cose del passato, si sono sentiti a disagio nel vestire l’abito e hanno fatto della agitazione sociale e politica l’acme della loro azione apostolica”, aggiungeva ancora. Intanto, a Roma le cose cambiavano: Rodé andava in pensione e al suo posto arrivava il meno “ostile” Braz de Aviz, focolarino brasiliano di certo non in linea con la posizione inflessibile del predecessore. 

Ieri il primo a prendere la parola è stato proprio il cardinale Braz de Aviz, che fin da subito ha colto l’occasione per «esprimere la nostra disponibilità a instaurare un dialogo rispettoso e fruttuoso con gli Istituti che non sono stati pienamente condiscendenti con il corso della visita».

È questo, infatti, il passaggio più interessante di una relazione che in realtà non ha svelato nulla di nuovo, visto che già da settimane si dava per certa nelle indiscrezioni d’Oltretevere una valutazione positiva della visita. Il porporato brasiliano e il segretario francescano – nella circostanza estremamente disponibili al dialogo e al confronto anche con gli Istituti che hanno negato l’accesso ai visitatori lì mandati da Roma – hanno infatti spiegato che sebbene fin dal principio il 78 per cento delle superiore generali si sia volontariamente impegnata «in un dialogo personale con il visitatore o visitatrice», non è possibile «ignorare che la visita apostolica è stata vissuta con apprensione da alcune suore, come pure della decisione, da parte di alcuni istituti, di non collaborare del tutto nello svolgimento di essa». E questo, ha sottolineato il cardinale Braz de Aviz, «è stato per noi motivo di amarezza». 

A ogni modo, nessuna punizione né commissariamento in vista: la congregazione «esprime la gratitudine alle religiose degli Stati Uniti per la loro presenza e per tutto ciò con cui contribuiscono alla missione di evangelizzazione della Chiesa», visto che fin «dagli inizi della Chiesa cattolica nel loro Paese le religiose sono state coraggiosamente in prima linea nella missione di evangelizzare». Il segretario Rodriguez Carballo ha chiarito qual è stato il metodo di lavoro usato negli incontri con le religiose: «Si è voluto trasmettere il sostegno premuroso della Chiesa, in un rispettoso dialogo da sorella a sorella. Si è cercato di ascoltare la realtà vissuta dalle religiose, di capire la loro ricca eredità, le sfide attuali e le speranze future, nell’ambito della comunità ecclesiale». 

Ma il vero cruccio per Roma era (ed è tuttora) rappresentato da un’altra indagine, questa volta tenuta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto la cui lente è finita da anni la Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), la più vasta comunità di religiose statunitensi (ma con vocazioni in forte calo) la cui attuale leader, suor Sharon Holland, era seduta al banco dei conferenzieri e ha anche preso la parola, nonostante sulla sua associazione penda la scure del Sant’Uffizio. È forse il sintomo, questo, d’una diversità di vedute tra la Congregazione per i Religiosi (più aperta e flessibile) e quella per la Dottrina della Fede, assai più ferma e severa nel voler fare chiarezza sulle criticità interne alla Lcwr (CLICCA QUI)

Qualcuno parla anche di un messaggio spedito all’attuale prefetto Gerhard Ludwig Müller, che lo scorso aprile aveva accusato parte dell’associazione di seguire tesi «opposte alla rivelazione cristiana».  Fu il prefetto William J. Levada a mettere nero su bianco una durissima valutazione dottrinale in cui le si accusava di «andare oltre la Chiesa e oltre Cristo» in virtù di posizioni non conciliabili con la dottrina cattolica in tema di aborto, eutanasia, apertura all’omosessualità.

Inoltre, le suore della Lcwr reclamavano il diritto di celebrare la santa Messa, nonostante Roma avesse negato a più riprese tale possibilità. Suor Theresa Kane, già presidente dell’associazione, replicava che l’ultimo a ribadire il no a tale richiesta era stato Giovanni Paolo II, «che però è morto», lasciando dunque intendere che qualche apertura sarebbe stata possibile in futuro. Ma la doccia gelata, l’ennesima, è arrivata da Francesco, che oltre a confermare la validità della valutazione dottrinale del 2012, ribadiva che «quel discorso è chiuso».

Il caso è delicato, al punto che ieri, aprendo la conferenza stampa, è stato chiesto ai giornalisti di non porre domande sulla questione della Leadership Conference of Women Religious. Qualche mese fa, la Lcwr aveva insignito del premio annuale la teologa (e suora) Elisabeth Johnson, teorica della non unicità del Cristo salvatore e del fatto che la Verità è conoscibile solo mettendo insieme il meglio di cristianesimo, islamismo, induismo e buddhismo. Tanto che il Müller si mostrava preoccupato dall’eventualità che le religiose si fossero “allontanate dalla capacità di sentire veramente cum ecclesia”.