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INTERCOMUNIONE

Sull'Eucarestia non si ammettono ambiguità

A stupire non deve essere il duro intervento del cardinale Eijk, piuttosto il silenzio di tanti vescovi e cardinali sulla fuga in avanti dei vescovi tedeschi sull'intercomunione, iniziativa che va a toccare il cuore della Rivelazione cristiana.

Editoriali 09_05_2018
Il cardinale Woelki e (sullo sfondo) il cardinale Marx

Non deve stupire l’intervento del cardinale Willem Eijk, arcivescovo di Utrecht, sull’intercomunione, per quanto duro possa apparire. Così come non dovrebbe stupire che sette vescovi tedeschi abbiano fatto ricorso a Roma per lo stesso motivo, ovvero le linee guida della Conferenza episcopale tedesca che aprono alla comunione per i coniugi protestanti sposati con un cattolico. Dovrebbe invece stupire il silenzio di tanti altri, in aggiunta all’atteggiamento neutrale preso da papa Francesco, atteggiamento oggetto della presa di posizione del cardinale Eijk.

Dovrebbe stupire il silenzio e la neutralità visto che la materia del contendere è il cuore della fede cattolica, l’Eucarestia. Avevamo già detto più volte e con molta chiarezza anche all’inizio dei Sinodi sulla famiglia che certe spinte poi avallate dall’esortazione apostolica Amoris Laetitia, prima che il sacramento del matrimonio mettevano in discussione l’Eucarestia. Il caso Germania a proposito di protestanti sposati con cattolici è la conseguenza del processo iniziato allora.

E anche di un metodo che papa Francesco aveva in effetti annunciato già nella prima esortazione apostolica, la Evangelii Gaudium, ovvero l’intenzione di lasciare una qualche autorità dottrinale alle singole Conferenze episcopali. Si tratta, come abbiamo già avuto modo di rilevare, di una indicazione chiaramente opposta a quella già data dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger.

Comunque la si pensi, i sette vescovi tedeschi guidati dal cardinale Woelki hanno detto chiaramente che l’Eucarestia non è certo materia da conferenze episcopali. Ciò che il cardinale Eijk ha chiaramente ribadito. Il motivo è semplice: l’Eucarestia è il cuore della fede cattolica, non è qualcosa su cui si possano dare interpretazioni diverse o su cui ci si possa permettere l’ambiguità.

Come dice Giovanni Paolo II introducendo l’enciclica Ecclesia de Eucharistia (2003): «La Chiesa vive dell'Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un'esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa».

È già abbastanza grave che si accetti la possibilità di aprire discussioni su questioni che costituiscono il cuore della fede e su cui si sono già espressi definitivamente Concilii e Papi. Ancora più grave che si ritenga possibile cambiare la Verità rivelata per alzata di mano, o perché un gruppetto di vescovi si sentono “illuminati” da poter dettare legge a tutti. Che vescovi e cardinali di tutto il mondo restino in silenzio davanti a questa possibilità concreta non solo stupisce, scandalizza anche. E legittima i fedeli a chiedersi in cosa credano davvero i loro pastori.

Peraltro l’iniziativa tedesca non è neanche un buon servizio all’ecumenismo, e lo aveva spiegato bene ancora Giovanni Paolo II nella Ecclesia de Eucharistia:

«Proprio perché l'unità della Chiesa, che l'Eucaristia realizza mediante il sacrificio e la comunione al corpo e al sangue del Signore, ha l'inderogabile esigenza della completa comunione nei vincoli della professione di fede, dei Sacramenti e del governo ecclesiastico, non è possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica fino a che non sia ristabilita l'integrità di tali vincoli. Siffatta concelebrazione non sarebbe un mezzo valido, e potrebbe anzi rivelarsi un ostacolo al raggiungimento della piena comunione, attenuando il senso della distanza dal traguardo e introducendo o avallando ambiguità sull'una o sull'altra verità di fede. Il cammino verso la piena unità non può farsi se non nella verità. In questo tema il divieto della legge della Chiesa non lascia spazio a incertezze, in ossequio alla norma morale proclamata dal Concilio Vaticano II».

Qui non si tratta di mettere artificiosamente – come insinua qualcuno – un Papa contro l’altro. È chiarissimo che il divieto di intercomunione da parte di Giovanni Paolo II è assoluto, senza ambiguità e non limitato nel tempo. Come è possibile dunque che oggi un altro Papa dica una cosa in aperta contraddizione? E come è possibile che si guardi più alla forma (cercare una soluzione unanime qualunque essa sia) che non alla Verità?

 

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