Sulle amministrative si decide il dopo-Berlusconi
Il balletto delle candidature a Roma e l'assetto trovato a Milano rivelano le due alternative che il centrodestra ha per il futuro: o un fronte "lepenista", guidato da Lega e Fratelli d'Italia, o una alleanza neo-centrista, dove Forza Italia sarebbe la forza trainante.
Che cosa sta succedendo nel centrodestra? Se lo chiedono in tanti, soprattutto guardando gli sviluppi del caso Roma, che sembra essere senza via d’uscita. Il candidato di Forza Italia per il Campidoglio è Guido Bertolaso, che però nei sondaggi viene dato al 7%; Fratelli d’Italia e Lega, dopo aver appoggiato l’ex capo della protezione civile, settimane fa hanno ufficializzato la candidatura alternativa di Giorgia Meloni, che è quotata al 20% e che potrebbe contendere all’esponente dem Roberto Giachetti il secondo posto, cioè la possibilità di sfidare al ballottaggio la grillina Virginia Raggi, al momento in testa in tutti i sondaggi. Gli altri due candidati Alfio Marchini e Francesco Storace, sia pure con percentuali diverse, non hanno alcuna chance di arrivare al secondo turno.
Centrodestra diviso, quindi, ma per quali ragioni? Forza Italia, partito ormai a brandelli, è spaccato tra filo-leghisti (Gelmini, Toti, Romani, Bergamini), che vorrebbero fare fronte comune con Giorgia Meloni e premono per il ritiro di Bertolaso, e filo-centristi, che suggeriscono un tandem Bertolaso-Marchini, nella speranza di poter arrivare al ballottaggio contro il Movimento Cinque Stelle.
Si tratta di due prospettive politiche completamente diverse e che riguardano, ormai, il dopo-Berlusconi. Se vincesse il fronte nordista e Meloni diventasse il candidato dell’intero schieramento, Forza Italia accetterebbe di fatto la sua subalternità a Salvini, sia in caso di vittoria che di sconfitta: se il numero uno di Fratelli d’Italia diventasse sindaco, si avrebbe la conferma che il centrodestra è ormai a trazione “lepenista”; se perdesse, i voti azzurri si rivelerebbero ininfluenti e insufficienti per garantire la vittoria del centrodestra. Le ricadute a livello nazionale, però, sarebbero comunque certe: Lega primo partito del centrodestra, asse Carroccio-Fratelli d’Italia largamente egemone rispetto al fronte moderato della coalizione.
Se, invece, passasse il disegno neocentrista di chi chiede a Bertolaso di fare un passo indietro per convergere su Marchini, si ricomporrebbe un centrodestra in versione moderata, visto che l’imprenditore romano è già appoggiato da Area popolare. É questa la linea di Gianni Letta e di chi invita Berlusconi a creare uno schieramento non schiacciato sulla Lega e capace di attrarre anche i moderati del centrosinistra che non gradiscono Giachetti.
Questa strada, che non è garanzia di ballottaggio nella capitale (non è detto che la somma dei voti di Bertolaso e Marchini produca una percentuale sufficiente per far arrivare il secondo alla sfida finale contro la Raggi), potrebbe tuttavia diventare un esperimento da esportare su base nazionale, per far nascere un embrione di nuovo partito di centro determinante per i futuri equilibri politici. Con l’Italicum, infatti, essendo ormai il Pd lontano da quel 40% raccolto alle elezioni europee di due anni fa, diventerebbe decisivo un polo moderato, tanto più se il premio di maggioranza venisse assegnato alla coalizione vincente e non al primo partito.
Sarebbe quindi sbagliato interpretare gli attuali travagli nel centrodestra per la corsa al Campidoglio come schermaglie finalizzate alla conquista della guida della Capitale. C’è molto di più in ballo. Anzitutto la leadership post-berlusconiana del centrodestra. Se a Roma la Meloni diventasse l’unico candidato sindaco di quello schieramento, il leader del Carroccio avrebbe buon gioco nel rivendicare per sé la candidatura a premier alle prossime politiche.
É vero che anche Stefano Parisi, a Milano, potrebbe spuntarla su Giuseppe Sala, ma l’ex manager Fastweb non è un politico bensì un tecnico, appoggiato con uguale intensità da tutti i partiti, Nuovo centrodestra compreso. La vittoria di Parisi, a differenza dell’eventuale successo di Giorgia Meloni, non sarebbe la vittoria di Salvini, che nell’alleanza milanese è decisivo ma non ha la golden share. Anzi, i maligni sostengono che, se a spuntarla fosse Parisi, potrebbe nascere all’ombra della Madonnina una nuova leadership di rilievo nazionale e quindi il numero uno leghista non farebbe i salti di gioia.
Panorama ingarbugliato, quindi, che rende incerto l’esito delle prossime amministrative e lascia già intravvedere sullo sfondo nuove inedite alleanze, per esempio quella tra Lega e Movimento Cinque Stelle. I segnali di convergenza non sono mancati nelle ultime settimane, dai comuni attacchi all’Europa al dialogo sulle mozioni di sfiducia al governo Renzi; dalla solidarietà comune a Piercamillo Davigo per le critiche ai “politici che rubano e hanno smesso di vergognarsi” al sostegno dichiarato di Salvini ai candidati grillini ai ballottaggi.
Più che un centrodestra unito, quindi, all’orizzonte si staglia un fronte populista alternativo al centrosinistra renziano. Molti che attualmente militano in Forza Italia, tra Salvini e Renzi sceglierebbero quest’ultimo. Dall’attuale tripolarismo si potrebbe presto arrivare a un bipolarismo muscolare. Le prove generali di questa nuova geografia politica potrebbero esserci in occasione del referendum costituzionale di ottobre.