Suicidi dopo la truffa in chat: pesa il tivù giustizialismo
La tragica storia di Daniele e Roberto, entrambi suicidi dopo l'inganno in chat del secondo sul primo. Una storia di sadismo e solitudine incalcolabili. Ma anche una storia di giustizia che non ha funzionato e di giustizialismo mediatico che ha preteso di farsi giustizia da solo.
Dove finisce il giornalismo e inizia la gogna mediatica? Qual è il confine tra la giustizia spettacolo e il giustizialismo? La domanda va posta ancora una volta alle Iene che si sono rese protagoniste di un nuovo capitolo di tv del dolore travestita da informazione. Il caso di Daniele e Roberto (ora si fanno i loro nomi e cognomi, ma trattandosi di due suicidi, almeno un po’ di pietas qualcuno deve conservarla) di cui da ieri le cronache si stanno occupando, impone una riflessione sulla qualità dell’informazione che viene proposta ai telespettatori come fosse giornalismo di qualità. E soprattutto una presa d’atto che un mezzo di informazione non può e non deve sostituirsi alla Giustizia.
Daniele aveva 24 anni quando nel settembre 2021 si è ucciso. Era stato tratto in inganno da Roberto, 64 anni, che abitava poco distante da lui in Romagna, ma che su Tinder lo aveva tenuto agganciato a sé per un anno con tre identità diverse: Irene, Claudia e Brahim. Tre personaggi inesistenti nati solo dalla fantasia malata e sadica di Roberto, ma che sono diventati l’ossessione del fragile Daniele, caduto nella trappola di Irene, una fidanzata virtuale, di Claudia, la sua amica confidente e di Brahim, il fratello di lui. Dietro questi “alias”, che hanno chattato con Daniele per oltre un anno in 8000 messaggi, c’era invece Roberto, che per un anno ha fatto credere a Daniele di vivere una storia d’amore bella e reale, una storia dove soltanto Daniele era attivo con le sue foto, i suoi messaggi, i suoi vocali appassionati mentre Irene non era altro che una proiezione idealizzata del giovane perché dietro di “lei” si celava la tastiera cinica di Roberto.
Tutto virtuale: le foto (rubate a una modella), il nome, l’amore. Di reale però, c’è soltanto la corda in mansarda a cui i genitori hanno trovato impiccato Daniele, devastato dopo aver compreso che dietro Irene non si celava quella bellissima ragazza che gli aveva fatto perdere la testa. Ha scritto una lettera al fratello e a mamma e papà, poi ha salutato il mondo.
Il padre, con l’aiuto del nipote, è riuscito a ricostruire quella “doppia vita” nel mondo virtuale del figlio ed è risalito a Roberto, un uomo che vive non distante da loro con l’anziana madre.
Inizia la battaglia legale: i genitori vogliono che venga riconosciuto il reato di morte come conseguenza di altro delitto, invece, il decreto penale di condanna per Roberto parlerà solo di sostituzione di persona. Un reato minore, con appena 800 euro di ammenda. Troppo poco secondo i genitori di Daniele che hanno così fatto opposizione alla richiesta di archiviazione del reato più grave da parte della Procura ed erano in attesa di una risposta del giudice.
Fin qui la vicenda giudiziaria, che doveva proseguire con le sue regole e i suoi tempi. Accanto, però, si è sviluppata la vicenda mediatica, che ha toccato il suo apice il 1° novembre scorso, quando la troupe delle Iene, dopo aver raccontato la tragica storia di Roberto a cui i genitori si erano rivolti dopo aver anche scritto una lettera al premier Giorgia Meloni, si è diretta in strada per parlare con Roberto.
La scena è penosa. Lui che bestemmia e cerca di sfuggire all’inviato che continua a chiedergli «perché l’hai fatto? Perché?», la povera madre in carrozzella sballottata qua e là, un inseguimento che sa di agguato. E elementi più che riconoscibili di Roberto, il volto non completamente oscurato, il tatuaggio sull'avambraccio, le strade del paese e la sua abitazione, la sua voce, la madre invalida. Dettagli che hanno subito reso identificabile Roberto in paese.
Nei giorni scorsi, stando a quanto ha raccontato il legale dell’uomo, sono comparsi dei manifesti col suo volto e accuse come «devi morire». L'uomo ieri doveva depositare una denuncia contro le Iene, ma sopraffatto dalla vergogna – e forse, chissà, dal senso di colpa – Roberto si è tolto la vita domenica lasciando sola la madre che lui accudiva. Ora, il suo legale, per conto della famiglia, sta valutando un esposto contro le Iene per istigazione al suicidio a causa di una pesante interferenza nella sfera privata. Nel frattempo, sui social, ci si divide come al solito: c’è chi accusa le Iene di sciacallaggio e istigazione e chi, invece, grida “giustizia è fatta” e “ben gli sta”, riferito a Roberto.
Ma si tratta davvero di giustizia? Non è forse questa una nuova legge del taglione? Dal codice di Hammurabi ad oggi, la logica dell’occhio per occhio è stata utilizzata in tante civiltà dell’antichità, ma anni e anni di diritto non ci hanno mai del tutto tolto dalla pelle questa barbara legge.
Il fatto è che in questa tragica, squallida vicenda è mancata la giustizia. Quella giustizia alla quale i genitori di Daniele si erano appellati e che hanno visto così superficialmente pendere dalla parte dell’aguzzino del loro figlio.
Certo, rivolgersi platealmente all’uomo che ha tratto in inganno Daniele ha fatto sicuramente effetto, ha mostrato la gravità del suo gesto, ma, contemporaneamente, ha anche gettato un uomo in pasto all’opinione pubblica con tutto il suo carico di errori e colpe. Era necessario? È questo il giornalismo?
Perché l’inviato delle Iene non si è rivolto contro gli uffici della Procura di Forlì per chiedere «perché?». In fondo, anche la Procura, derubricando il comportamento di Roberto a fatto tutto sommato poco grave e non direttamente responsabile della morte di Daniele ha in un certo senso "sollevato" quell’uomo dal suo comportamento immorale, ma non delittuoso. Forse, però, se la troupe fosse andata sotto le finestre del procuratore per chiedere conto di quell’archiviazione ci sarebbe stato meno spettacolo, ma probabilmente si sarebbero rispettate maggiormente le regole del giornalismo d’inchiesta che non prevedono la messa alla gogna, ma un’analisi scrupolosa della verità.
Ma la verità, evidentemente, non basta se non è sottoposta alla giustizia: le tragedie scaturiscono quando la verità non è purificata nel crogiuolo della giustizia. Nell’Edipo Re e poi nell’Edipo a Colono, tutte le volte che emerge la verità sul peccato dell’eroe si preannuncia una tragedia. Quando Giocasta scopre di essere la moglie-madre del re di Tebe si uccide, quando Edipo si rende conto si acceca e quando i suoi figli Eteocle e Polinice vengono informati della verità su quella relazione incestuosa dei genitori, ecco che entrano in scena divisione, morte e tragedia. In quella verità manca ogni tipo di giustizia.
La storia di Daniele e Roberto è una storia di miseria e solitudine, di disperazione e sadismo, che ha generato una spirale diabolica di lutti, ma è anche una storia che non ha conosciuto giustizia, ma solo il giustizialismo selvaggio dietro il paravento di un interesse pubblico da far west, che si è intestato il diritto di sostituirsi alle aule del tribunale per farsi giustizia da soli. In scena sono rimasti solo la morte e la tragedia.