Studentessa denudata in Iran, femministe francesi in delirio
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L'eco-femminista Rousseau paragona la lotta della giovane che si è spogliata per protestare contro il regime degli ayatollah in Iran alla battaglia del velo delle musulmane francesi. Un paragone che ha indignato molte donne, di destra e di sinistra. Intanto le femministe di casa nostra tacciono.
Università di Azad, Teheran, la studentessa Ahou Daryaei viene aggredita dalla polizia morale dell’ayatollah perché indossa un velo fuori misura. Evidentemente c’è qualche capello di troppo in bella mostra. Per protesta, si denuda restando in intimo.
Il video che ha fatto il giro del mondo mostra in primo piano l’indifferenza che incrocia tutt’intorno. La folla che la circonda non vuole intercettare nemmeno il suo sguardo. Anche quello potrebbe rappresentare un pericolo. La donna sembra un fantasma tra le forme nere che intreccia il suo cammino. L’epilogo è repentino tanto quanto prevedibile: botte e detenzione in un manicomio. Proprio come l’Unione Sovietica faceva con i nemici del popolo.
Dal 3 novembre, giorno in cui i fatti si sono verificati, gira anche una seconda versione della storia che la vorrebbe come una ragazza affetta da problemi psichiatrici e per questo ricoverata. Amnesty International, che la sta seguendo, smentisce categoricamente la seconda versione dei fatti.
Intanto la vicenda è già un caso politico in Francia. Al centro del dibattito il commento dell’eco-femminista - come ella stessa si definisce - più famosa di Francia, Sandrine Rousseau, «Il nostro corpo e tutto ciò che indossiamo (o meno) ci appartiene». La Rousseau, deputata per i Verdi di Parigi, considerata una figura di spicco del movimento francese MeToo, con il suo commento ha voluto mettere sullo stesso piano la lotta delle donne iraniane contro la Repubblica islamica e quella delle donne che desiderano indossare il velo in Francia.
La sua collega macronista ed ex ministro per le pari opportunità, Aurore Bergé, non ha tergiversato: «Vergogna, nausea. Questa giovane donna corre ogni rischio per mostrarci la strada verso la libertà e l’emancipazione. Merita di meglio che una capitolazione all’islamismo o piccoli accomodamenti che sono altrettante sconfitte». A destra, la senatrice de Les Républicains, Valérie Boyer, ha fatto eco denunciando il «tweet infame» e un «femminismo a geometria politica variabile».
Parigi ha visto negli anni più volte sfilare i professionisti dell’islamofobia, affiancati, ça va sans dire, dalla sinistra di Jean-Luc Mélenchon e dagli ecologisti: d’altronde l’alleanza verdi - i musulmani - e rossi ha prodotto grandi successi elettorali per i politicanti oltralpe.
E Sandrine Rousseau era già nota per alcune esternazioni sull’uso del velo, «ci sono molte ragioni per portare il velo, e c’è chi porta il velo che in realtà è solo un abbellimento». Ed era già stata fischiata anche ad una manifestazione a sostegno delle donne iraniane a Parigi: tra le sette donne presenti sul palco è stata l’unica contestata.
Ma sono soprattutto le donne iraniane esuli in Europa a non averla presa per niente bene. Ritengono che il sostegno internazionale per la loro causa sia solo di facciata, spesso strumentale. Per la fumettista iraniana naturalizzata francese, Marjane Satrapi, «che tu non capisca la situazione e che sia stupida, va bene. Tutti hanno il diritto di essere stupidi. Ma a questo punto è meglio tacere».
Mona Jafarian, attivista iraniana molto nota a Parigi ed impegnata contro l’islamismo, a Sud Radio ha denunciato il gioco che fanno gli ecologisti: sempre a fare gli equilibristi quando si parla di islam per paura di «non offendere il loro elettorato. Gli elettori musulmani votano principalmente a sinistra. Ancora alle ultime europee il 74% degli islamici si è schierato per la sinistra più estrema. Ossessionati dall’islamofobia non hanno il coraggio di identificare chiaramente ciò contro cui le donne iraniane stanno combattendo, vale a dire l’islamismo, la legge della shari’a e tutto quello che ruota attorno. Non hanno il coraggio di identificare il nemico».
D’altra parte, sono stati proprio i Fratelli musulmani a intendere, sin dall’inizio, la diffusione del velo come segno della presa che hanno sulla società e una dimostrazione di forza nei confronti anche delle istituzioni che vanno ad occupare. Il velo è stato da loro confuso come una prescrizione religiosa camuffandone il significato politico.
Ed è proprio in Iran che il velo diventa il simbolo della rivoluzione islamica del 1979. Prima, con lo scià di Persia, le donne velate non esistevano. Risulta altrettanto curioso ricordare come, all’indomani della deposizione del Presidente islamista Morsi, dopo un anno fallimentare di governo dei Fratelli musulmani, molte donne decisero di togliere il velo.
Il parallelo tra la battaglia delle donne iraniane e il divieto di velarsi nelle scuole e negli uffici pubblici ha irritato i francesi di destra e sinistra moderata perché fuorviante. Non solo perché la Francia ci tiene a vendersi ancora come la patria delle libertà, non tanto, ancora, giacché il velare la donna ha in sé la rivendicazione di uno svincolarla da qualsiasi dignità, in particolare quella di persona (concetto cattolico e che l’islam non conosce), ma soprattutto in virtù del fatto che la reazione al divieto - che nasce anche da esigenze di sicurezza nazionale - oggi, per come è ostinatamente e ostentatamente combattuta da minorenni lascia intravedere tutt’altro che non l’appartenenza religiosa.
In Italia, nel frattempo, il lato femminista del Paese non ha detto una parola sulla sorte di Ahou Daryaei. Forse perché dalla notte del 5 novembre si sta spendendo con ogni energia possibile per denunciare nella vittoria di Trump, quella del patriarcato. Natalia Aspesi, per esempio, oltre a augurarsi che a Trump venga l’Alzheimer, si dispera per il «tradimento delle giovani nere», che hanno premiato «un uomo orribile, dal viso inguardabile, villanissimo».