Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni Evangelista a cura di Ermes Dovico

GUERRA INFINITA

Siria, tregua in vista dopo l'ultima ecatombe

Dopo le stragi compiute dall'Isis a Homs e a Damasco (180 morti, soprattutto musulmani alawiti e sciiti), la data per una tregua in Siria è stata fissata alla mezzanotte del 27 febbraio. Contrariamente ai tentativi precedenti, non sembra solo una scadenza simbolica. E' dettata dalla necessità di combattere i gruppi più estremisti: Isis e Al Nusrah. 

Esteri 23_02_2016
Siria, tregua fra le macerie

La mezzanotte di sabato 27 febbraio, ora di Damasco. Se non altro da ieri pomeriggio c'è una data e un orario per il cessate il fuoco in Siria a cui Stati Uniti e Russia da giorni stanno lavorando. Per il momento non c'è molto di più, visto che le ultime giornate sono state tra le più sanguinose dell'intero conflitto. Quella di domenica, in particolare, con i due attentati attraverso i quali l'Isis ha colpito prima gli alawiti a Homs e poi di nuovo gli sciiti a Damasco, provocando oltre 180 morti. Ma anche ieri sul campo di battaglia si combatteva praticamente su tutti i fronti.

Eppure questa trattativa per il cessate il fuoco non è una cortina fumogena. Lo aveva già confermato la girandola di dichiarazioni e di incontri degli ultimi giorni. Con la Russia, in particolare, che per bocca del suo ambasciatore all'Onu aveva richiamato all'ordine il presidente siriano Bashar al Assad, spintosi troppo in là nell'euforia una volta uscito dall'angolo. E poi aveva spedito il suo ministro della Difesa a Teheran, per mettere sul piatto anche con gli iraniani nuovi contratti militari in cambio di un atteggiamento possibilista nella trattativa in corso con gli Stati Uniti. Dall'altra parte il segretario di Stato Usa John Kerry era volato ad Amman, dall'unico partner sunnita oggi giudicato affidabile a Washington, anche in questo caso portando in dote un generoso aumento delle forniture militari alla Giordania. Con Assad e l'opposizione siriana che - mangiata la foglia - cominciavano a scendere a più miti consigli, provando a dettare le loro condizioni per la tregua. E con la Turchia e l'Arabia Saudita divenute improvvisamente caute rispetto ai giorni scorsi nell'ipotesi di un invio di truppe di terra in Siria.

Da tutta questa serie di incontri e prese di posizione appare chiaro che qualcosa si sta davvero muovendo stavolta in Siria. L'intervento russo ha oggettivamente impresso una svolta alla guerra e - di fronte al bivio tra l'escalation e la trattativa politica - Mosca e Washington stanno premendo per la seconda strada. Checché ne dica Assad, la Russia non ha nessuna intenzione di sostenerlo nella riconquista militare di ogni angolo della Siria: Putin sa che un conto è l'avanzata un altro è controllare davvero un Paese come quello che cinque anni di guerra hanno lasciato in eredità. Il rischio di fare la fine degli americani in Iraq è molto alto e le autobombe a Homs e Damasco sono state solo l'antipasto di quello che potrebbe diventare la Siria senza un accordo politico vero, in cui i rispettivi padrini si impegnino a togliere di mezzo le schegge impazzite.

Ecco allora il cessate il fuoco fissato per sabato. Sul quale - ovviamente - nessuno può mettere la mano sul fuoco. Ma già il meccanismo indicato nella dichiarazione congiunta è importante da capire: dalla tregua sono esclusi in partenza l'Isis, ma anche i miliziani di Jabat Al Nusra, le formazioni locali legate ad al Qaeda. È stato il nodo più spinoso della trattativa tra Washington e Mosca sul quale alla fine sono stati i russi a spuntarla. Però c'è un corollario importante: tutti gli altri gruppi hanno tempo fino a venerdì a mezzogiorno per far sapere a Washington o a Mosca se accettano il cessate il fuoco. Altri gruppi in che senso? La guerra in Siria è da tempo ormai uno scontro che vede coinvolte un'infinità di milizie locali, con alleanze che si formano e si rompono. Per esempio: nell'offensiva a nord di Aleppo, a fianco dei curdi, da qualche mese combatte Jaish al-Thuwar, una milizia che comprende arabi e turcomanni che faceva parte del Free Syrian Army e teoricamente starebbe combattendo tanto l'Isis quanto l'esercito di Assad. Eppure oggi sta con i curdi.

La scommessa di questo cessate il fuoco è offrire una via d'uscita anche ad altre frange dei ribelli che non si riconoscono in Al Nusra o comunque vogliono ritagliarsi un posto al tavolo negoziale. Il testo dell'accordo dice che - venerdì, sulla base delle adesioni alla tregua - americani e russi dovrebbero definire delle zone geografiche precise dove il cessate il fuoco entra in vigore, con una camera di regia condivisa per gestirlo. Si tratta evidentemente di un percorso su un crinale ripidissimo; ma è l'unico concreto oggi per cominciare almeno da qualche parte a fermare la carneficina.

Non è un caso che proprio ieri, sentendo ormai da che parte tirava l'aria, gruppi legati ad Al Nusra abbiano attaccato, contemporaneamente all'Isis, la strada controllata dai governativi che da sud porta i rifornimenti ad Aleppo. Il fatto che due gruppi jihadisti fino ad ora concorrenti decidano di fare fronte comune, dice tutta la difficoltà in cui oggi si trovano entrambi in Siria. E quanto l'occasione di spazzarli via sia concreta se davvero questo fragilissimo cessate il fuoco dovesse diventare l'inizio di un accordo politico per far uscire la Siria dal baratro.

Ma - lo dicevamo - il crinale è ripidissimo. E tra chi vede come il fumo negli occhi questo cessate il fuoco, oggi, non ci sono solo i gruppi jihadisti o la Turchia ossessionata dall'avanzata dei curdi ai propri confini. C'è anche il presidente siriano Bashar al Assad. Che - guarda caso - proprio ieri sera ha tirato fuori dal cilindro la convocazione delle elezioni parlamentari in Siria per il 13 aprile. Una mossa che volutamente ignora il percorso per una transizione politica fissato dal Consiglio di sicurezza dell'Onu a dicembre con la risoluzione 2254 e indicato espressamente da Stati Uniti e Russia come l'orizzonte a cui il cessate il fuoco si ricollega. Assad è stato il primo a muovere le sue carte, altri nelle prossime faranno lo stesso. Sabato mattina vedremo se la tela tessuta in queste ore tra Washington e Mosca sarà stata più forte.