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MEDIO ORIENTE

Siria, l'inizio di una tregua che sembrava impossibile

In Siria le armi tacciono. Relativamente. Fra colpi di mortaio, un'autobomba e duelli d'artiglieria, si è combattuto molto meno del solito. Solo nel settore curdo, Ypg e Isis si affrontano in campo aperto. Insomma, la tregua che sembrava impossibile, ha retto nella sua prima giornata. E la Russia, ora, alza il tiro, aprendo un canale diplomatico anche con i sauditi. 

Esteri 28_02_2016
Tregua in Siria

Fermare le armi in buona parte della Siria almeno per qualche ora non è impossibile. Lo dice il bilancio della prima giornata del cessate il fuoco, entrato in vigore alla mezzanotte di ieri dopo le faticosissime trattative seguite all'accordo tra Russia e Stati Uniti. Non ci scommetteva nessuno su questa tregua e invece - se non altro - almeno il risultato iniziale di permettere a molte aree prostrate dal conflitto di vivere la loro giornata più calma dopo anni è stato raggiunto.

Certo, si può parlare di cessate il fuoco solo valutandolo con gli standard siriani di oggi: c'è stata un'autobomba ad Hama che ha fatto due morti, alcuni colpi di mortaio “ribelli” caduti in un paio di zone di Aleppo e Damasco, mentre dall'altra parte della barricata hanno parlato di qualche colpo di artiglieria dell'esercito siriano. Soprattutto è stata comunque una giornata di combattimenti intensi a Tel Abyad, nell'ovest, dove l'Isis ha attaccato i curdi dello Ypg (che hanno accusato ancora la Turchia di complicità con i jihadisti). Però nel resto di Aleppo, Homs e Damasco - le principali zone indicate dall'accordo mediato da Russia e Stati Uniti insieme all'inviato dell'Onu Staffan de Mistura - la tregua ha sostanzialmente retto. E non è poco.

Certo, questo non significa ancora nulla: siamo ai primissimi passi nel lungo e difficile percorso per provare a tirar fuori la Siria dall'inferno di questo conflitto. Stiamo parlando di una tregua a cui molte parti in causa hanno aderito contando sul fatto che presto verrà violata da qualcun altro. E comunque l'Alto Comitato per i Negoziati - l'organismo pilotato dall'Arabia Saudita che ha portato in dote l'adesione di 97 sigle tra le formazioni ribelli (numero che rende già da solo l'idea del caos in cui versa il Paese) - si è impegnato solo su un cessate il fuoco di due settimane. Per questo - ammesso che la relativa calma prosegua - diventa ora cruciale la giornata di lunedì 7 marzo, la nuova data fissata per la ripresa dei colloqui di pace a Ginevra, sospesi a fine gennaio senza neppure essere iniziati. Appare evidente che solo un passo avanti vero in quella sede - che permetta di fare partire il negoziato per una soluzione politica al conflitto - potrebbe portare questa tregua a diventare qualcosa di più di uno stop temporaneo ai combattimenti.

Alcuni aspetti si possono però comunque evidenziare già da ora. Il primo è che - nonostante le vulgate opposte in circolazione da giorni - la Russia di Putin dimostra di voler provare a vedere le carte al tavolo del negoziato sul futuro della Siria. Nonostante la tanto conclamata esclusione dal cessate il fuoco dei jihadisti di Jabat al Nusra, messa nero su bianco negli accordi con gli Stati Uniti, ieri Mosca ha tenuto infatti a terra tutti gli aerei, fermando per la prima volta dal 30 settembre tutte le sue azioni contro il fronte anti-Assad. «Volevamo evitare errori», ha dichiarato il ministero della Difesa russo. La posizione di forza raggiunta con i raid sta spingendo Putin a cercare di chiudere la partita con una soluzione politica, molto meno rischiosa di una riconquista militare. Anche per questo Mosca ha rispedito al mittente la scellerata dichiarazione del segretario di Stato americano John Kerry sulla possibilità di un «piano B» in caso di fallimento del negoziato. «Piano B» che poi - secondo Washington – è la pura e semplice spartizione della Siria. Non è affatto detto che alla fine, in qualche forma «federale», non si arrivi a definire aree di influenza (anche perché le regioni di autogoverno curdo al nord sono già una realtà). Ma una dichiarazione pronunciata in questi termini alla vigilia di un cessate il fuoco incerto dice tutto il dilettantismo (per usare un eufemismo) messo in campo dall'amministrazione Obama in Siria in tutti questi anni.

Intanto però - ed è il secondo punto - la Russia negli ultimi giorni ha aperto un canale diretto di comunicazione anche con i sauditi. Perché prima c'è stato l'accordo tra Mosca e Riyad sul congelamento dell'attuale quantità di produzione di petrolio, per evitare un'ulteriore discesa delle quotazioni. Poi sono arrivate un paio di telefonate dirette tra Putin e il re saudita Salman. La verità è che la partita che la Russia sta provando a giocare in Medio Oriente va ormai al di là della sola Siria; e un'eventuale pax putiniana tra Teheran e Riyad tra Damasco, Aleppo e Raqqa sarebbe un risultato geopolitico ben più rilevante di una campagna militare.

Anche per questo c'è chi ha tutto l'interesse oggi a non far arrivare la tregua al 7 marzo. Prima di tutto - ovviamente - l'Isis e Jabat al Nusra, che stavolta rischiano di finire davvero isolati. E poi la Turchia che si troverebbe perdente su tutti i fronti; ha giocato la carta del possibile intervento di terra, ma più passano i giorni e più si sta rivelando un bluff anche perché i sauditi sono già nei guai nello Yemen e non ci pensano affatto ad aprire un secondo fronte. Anche il presidente siriano Bashar al Assad, però, teme sorprese da Mosca: grazie ai raid russi è rimasto in piedi; ma nel momento in cui si sentiva più forte, Putin gli sta presentando il conto con il cessate il fuoco. 

Si muovono tante cose intorno a questa fragilissima tregua. Forse troppe perché possa tenere. Ma anche un giorno di relativa calma sembrava a tutti impossibile fino a ieri in Siria. E invece il 27 febbraio 2015 è arrivato.