Siria: il Qatar ordina, Parigi e Londra eseguono
Dietro la pressione di Francia e Regno Unito per l'invio di armi ai ribelli in Siria, c'è il Qatar: sono in ballo investimenti per miliardi di sterline, così cedono al ricatto dell'emiro. Una strategia che mette in difficoltà l'Europa.
C’è qualcosa di inquietante nelle pressioni che Londra e Parigi stanno esercitando sull’Unione Europea per consentire l’invio di armi ai ribelli siriani che già godono dell’appoggio militare di Qatar, Arabia Saudita e altri Paesi arabi. Il 14 marzo il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha annunciato che Parigi e Londra revocheranno l'embargo sulle armi per i ribelli siriani anche senza il via libera della Ue. ''La posizione presa con i britannici è che gli europei tolgano l'embargo perché i ribelli possano difendersi'' ha spiegato Fabius.
Le motivazioni franco-britanniche si basano sui circa 60 mila morti stimati in due anni di rivolta contro il regime di Assad e sui 900 mila profughi certificati dalle Nazioni Unite mentre molti temono che il conflitto possa allargarsi anche al Libano. L’embargo “va tolto nelle prossime settimane - ha detto il presidente francese Francois Hollande - perché altri paesi, tra i quali la Russia, danno armi al regime di Assad”. Bisogna quindi fornire l'opposizione di armi pesanti per riequilibrare il conflitto e ''facilitare la soluzione politica'', ha affermato il premier britannico che ritiene ''sbagliato trattare opposizione e regime allo stesso modo''. Eliseo e Downing Street sembrano unite come due anni fa, ai tempi della guerra in Libia, e come allora sono però in minoranza rispetto alla posizione degli altri partner Ue.
Angela Merkel ha espresso ''riserve'' e la posizione tedesca è condivisa da Austria, Slovenia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. "Non ci dobbiamo lasciare trascinare solo dalle emozioni" ha detto il ministro tedesco degli Esteri, Guido Westerwelle che ritiene pericoloso fornire armi ai ribelli non solo per fomentare l’ampliamento del conflitto ma soprattutto perché le armi inviate all'opposizione siriana potrebbero cadere “nelle mani sbagliate”. La Ue discuterà ancora la mozione franco-britannica cercando un compromesso ma la decisione di Londra e Parigi sembra ormai irrevocabile nonostante proprio l’esperienza libica dovrebbe aver insegnato qualcosa a Cameron e Hollande.
Le armi fornite ai ribelli libici hanno permesso (con le bombe della Nato) di rovesciare il regime di Gheddafi portando però il Paese nel caos e favorendo l’affermazione di milizie islamiste oggi padrone della Cirenaica e ben presenti anche in Tripolitania. Possibile che Londra e Parigi non si rendano conto che armare le milizie ribelli siriane significa rafforzare per lo più i movimenti sunniti di ispirazione islamista vicini ai Fratelli Musulmani, ai salafiti e persino ad al-Qaeda? La situazione è talmente delicata che persino Washington ha rinunciato a fornire armi ai ribelli (invierà solo aiuti non bellici) e secondo fonti della CIA citate dal Los Angeles Times si prepara a inviare droni armati per colpire i leader dei gruppi islamici più radicali schierati con i ribelli tra i quali il Fronte al-Nusra che con altri movimenti della stessa ispirazione stanno ottenendo i migliori risultati militari grazie al denaro e alle ami provenienti dalle monarchie del Golfo.
Solo un ingenuo può ritenere che gli emirati del Golfo, retti da regimi monarchici feudali, vogliano portare in Siria o in altri Paesi arabi quella democrazia che negano ai loro popoli. Per rendersene conto è sufficiente guardare quanto è accaduto in tutti i Paesi interessati dalla cosiddetta “primavera araba” i cui sviluppi sono stati fortemente inquinati dai petrodollari provenienti dai regimi del Golfo. Dovremmo quindi tacciare di ingenuità o ottusità i governi britannico e francese?
Il sospetto (in realtà è qualcosa di più) è che Londra e Parigi subiscano le forti pressioni del Qatar, ex protettorato britannico accolto nella comunità francofona ma che oggi pare in grado di influenzare le scelte politiche e strategiche di alcune potenze europee. Forse non della Germania ma certo di Gran Bretagna e Francia ormai “invase” dagli investimenti quatarini che riguardano tutti i settori dell’industria, della finanza, del commercio, delle infrastrutture e persino dello sport. Il salto di qualità nella pioggia di denaro, proveniente dall’export di gas e petrolio, che il Qatar riversa su Francia e Gran Bretagna riguarda addirittura la spesa pubblica dei due Paesi.
Doha sta negoziando investimenti a Londra per 10 miliardi di sterline da utilizzare per realizzare opere pubbliche, finanziando di fatto i progetti governativi, mentre a Parigi ha presentato un piano da 100 milioni di euro per riqualificare le periferie degradate abitate soprattutto da islamici. Facile quindi ipotizzare che alla richiesta del Qatar di esercitare pressioni sulla Ue i franco-britannici non abbiano potuto dire di no per non rischiare lo stop agli investimenti.
Paradossale e ironico che Cameron e Hollande (e prima di lui Sarkozy) abbiano venduto la politica estera delle maggiori potenze europee (ed ex grandi potenze coloniali) per un pugno di petrodollari da un emiro arabo. Del resto non è la prima volta che improvvise decisioni politiche assunte in Europa trovano spiegazioni solo guardando agli affari in ballo con il Qatar. Nel novembre scorso, subito dopo la visita di Mario Monti a Doha conclusasi con la promessa di investimenti nel Belpaese, all’Onu l’Italia votò inaspettatamente a favore del riconoscimento dello Stato palestinese come membro “osservatore” delle Nazioni Unite. Tutte le previsioni erano per un voto negativo (come gli USA) o un’astensione dell’Italia ma all’improvviso giunse da Monti l’ordine di votare si che spiazzò Israele e a quanto pare anche lo stesso ministro degli Esteri, Giulio Terzi.