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KANAYE

Siria, duemila cristiani ostaggio degli jihadisti

Papa Francesco parla di "ecumenismo del sangue", i siriani lo sperimentano sulla loro pelle. Gli jihadisti hanno occupato il villaggio di Kanaye e intimano agli abitanti cristiani di seguire la legge coranica, altrimenti li uccidono tutti.

Esteri 17_12_2013
Jihadisti

Parlava dell’«ecumenismo del sangue» Papa Francesco nell’intervista ad Andrea Tornielli pubblicata domenica sul quotidiano La Stampa. Quell’unità sperimentata dai cristiani davanti a quei persecutori che non chiedono loro «se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi». Ed è una fotografia che in Siria si ripete ogni giorno in un posto nuovo.

In queste ultime ore la geografia della sofferenza ci ha portato a conoscere la storia di Kanayé, un altro dei villaggi della valle del fiume Oronte che raccontano la lunga storia del cristianesimo in Siria. A lanciare l’allarme è stato il vicario apostolico emerito di Aleppo, mons. Giuseppe Nazzaro, che da pochi mesi ha lasciato fisicamente questa terra ma resta un punto di riferimento importante per i cristiani della Siria. È a lui che è giunto da Kanayé - un villaggio cristiano di duemila anime appena caduto nelle mani dei miliziani qaedisti di Jabat al Nusra - un appello telefonico drammatico.

«Sono penetrati nel villaggio - ha raccontato monsignor Nazzaro - ed hanno imposto al parroco di non suonare più le campane. Le donne non devono più uscire per strada a capo scoperto, devono essere velate. Nel caso non ottemperassero a questi ordini, passerebbero dalle minacce ai fatti, massacrandoli tutti». Che non siano solo parole gli abitanti di Kanayé lo sanno bene: «Già un anno fa - continua il presule francescano - a Ghassanieh, un villaggio vicino, intimarono alla gente di lasciare subito il villaggio, altrimenti li avrebbero tutti uccisi. Così ottennero il risultato che volevano, cioè occupare il villaggio e tutto quanto i cristiani possedevano. A Kanayé - commenta ancora padre Nazzaro - questo è il primo passo, domani li costringeranno a convertirsi all'islam».

Nel susseguirsi di queste notizie rischia sempre di sfuggire che cosa significhi per l'intera cristianità questo disegno di sradicamento dalla Siria della fede in Gesù. Tendiamo a dimenticare che nei posti come Kanayé si è cristiani da sempre; siamo noi a essere figli del loro primo annuncio. «Secondo la tradizione - raccontava qualche anno fa alla rivista Terrasanta proprio il parroco di Kanayé, padre Hanna Jallouf - san Paolo dopo aver avuto la notizia e la gioia di poter convertire gli elleni al cristianesimo, si recò da Gerusalemme verso Antiochia. Allora c'erano tre strade che collegavano Apamea ad Antiochia. Una era la strada militare verso Aleppo, un'altra passava vicino al corso dell'Oronte (per sei mesi impraticabile a causa delle piene); una terza passava proprio dietro questa collina. Senz'altro san Paolo è passato di qua, evangelizzando queste terre. Insomma, siamo certamente i discendenti dei primi cristiani convertiti dall'apostolo missionario».

Gli islamisti non vogliono semplicemente impadronirsi di un villaggio: vogliono cancellare un'intera storia. «Maalula, Sednaya, Sadad, poi Qara e Deir Atieh, Nebek: i jihadisti armati applicano sempre lo stesso modello - ha dichiarato all’agenzia Fides padre George Louis, parroco greco-cattolico del villaggio di Qara -. Prendono di mira un villaggio, lo invadono, uccidono, bruciano, devastano. Per i civili - cristiani e non - la vita è sempre più difficile». Del resto sono giorni che i cristiani della Siria sono in ansia anche per la sorte delle suore ortodosse costrette a lasciare il monastero di Santa Tecla a Maaloula. Sanno bene che non lo avrebbero mai abbandonato spontaneamente. Alcune fonti locali ieri parlavano di una trattativa diplomatica in corso con le milizie che le tengono sotto la loro «custodia» a Yabroud. Ma siamo sempre nel dominio delle voci che si rincorrono, che abbiamo imparato bene a conoscere anche nei casi degli altri sequestri (tuttora in corso).