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CHIESA

Sinodo unitario? Tra i cardinali volano sonore bacchettate

Il refrain ufficiale durante il Sindo era semplice: si discute di tutto, ma sempre in armonia e comunione. Collegialità e unità a prevalere su ogni altra cosa. Finito il Sinodo, le divisioni invece sono venute alla luce. Con interventi e interviste di cardinali del calibro di George Pell, Leo Burke e Gerhard Muller.

Ecclesia 06_11_2014
Il Prefetto della Congregazione della Fede, Gerhard Muller

Il refrain pubblico e ufficiale durante le due settimane sinodali chiuse con la solenne beatificazione di Paolo VI era semplice: si discute di tutto, si discute in modo franco, ma sempre in armonia, comunione e fratellanza. Nessun schieramento organizzato, nessuna disputa profonda. Collegialità e unità a prevalere su ogni altra cosa. Poi però arriva la Relatio Synodi, il testo messo ai voti, e si scopre che tre paragrafi sono stati bocciati. Non hanno ottenuto la necessaria maggioranza dei due terzi di placet, e se sono nel documento finale lo si deve solo al Papa che legittimamente ha deciso di derogare e di rendere pubblici anche i capitoletti che – come chiariva padre Federico Lombardi la sera della votazione – «non possono essere considerati espressione del Sinodo perché privi della maggioranza qualificata».

E non si trattava di quisquilie: erano i punti più controversi, quelli che da un anno a questa parte avevano scatenato teologi, cardinali, opinione pubblica laica più o meno informata, mass media. Divorziati risposati da riammettere alla comunione e apertura agli omosessuali. Temi che avevano trovato ampio spazio nella relazione intermedia, presentata dal cardinale Erdo, ma scritta in gran parte da monsignor Bruno Forte. Testo che successivamente è stato smontato dai circoli minori, nonostante sui social media padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, pubblicasse un video in cui si mostravano i «venti secondi di applausi» che la Relatio post disceptationem aveva ottenuto in aula, segnalando con ciò che le voci di divisioni e tensioni erano esagerazioni mediatiche. Finito il Sinodo, le divisioni sono venute alla luce. E non attraverso le dichiarazioni di qualche vescovo titolare di piccole diocesi periferiche, bensì con la presa di posizione di tre cardinali curiali di prim’ordine: il prefetto della neonata Segreteria per l’Economia, il ranger australiano George Pell, il prefetto della Segnatura apostolica, Raymond Leo Burke e, soprattutto, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. 

Il porporato tedesco, tra i più determinati oppositori alle tesi novatrici fatte proprie da Walter Kasper nel Concistoro dello scorso febbraio e appoggiate dalla gran parte dell'episcopato suo connazionale, ha denunciato pubblicamente – in un'intervista a un sito polacco – tutti quei «rappresentanti della Chiesa, vescovi compresi, che si sono lasciati in qualche modo accecare dalla società secolarizzata, da cui sono stati così influenzati che li ha trascinati lontani dalla questione principale o dagli insegnamenti della Chiesa basati sulla rivelazione». Ce l'ha con quanto è avvenuto nell'Aula nuova, il prefetto dell'ex Sant'Uffizio, e non a caso punta il dito contro certe teorie su famiglia e coppie omosessuali. Riguardo alla prima questione, sostiene che «in molti Paesi le relazioni sono distrutte, e questo si applica anche al modello cristiano di matrimonio e famiglia. La verità sul matrimonio e la famiglia è relativizzata». Si tratta di tendenze, «che si sono mosse all'interno della Chiesa e fra i vescovi, sui quali si sta cercando di esercitare pressione. Noi abbiamo Cristo e il Vangelo. Questo è il nostro punto di riferimento, il fondamento per il solo e corretto insegnamento della Chiesa». 

Circa le coppie gay, da Müller arriva una chiusura totale, ben più forte di quella messa nero su bianco nella Relatio Synodi: «Il Catechismo della Chiesa cattolica insegna che le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Papa Francesco dice che non sta cercando di creare qualche nuova dottrina della Chiesa, ma sta cercando di mostrare che nessuno è giudicato dalla Chiesa a causa della propria tendenza omosessuale. Nessuno cerca di discriminare queste persone. Ma bisogna dire con chiarezza che la Chiesa ha giudicato negativamente gli atti omosessuali». Sulla stessa lunghezza d’onda il cardinale nigeriano John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, che tre giorni fa ha ribadito come «la gerarchia cattolica a Roma abbia resistito contro i matrimoni gay, perché questi chiaramente negano l’idea originale di Dio nella costruzione della famiglia».

Detto dal prefetto custode dell'ortodossia cattolica, nominato da Benedetto XVI, confermato e creato cardinale da Francesco, fa un certo effetto. Anche perché dietro Müller (che non può in alcun modo essere tacciato di tradizionalismo, basti considerare le frizioni e gli scontri del passato con la Fraternità San Pio X e la sua vicinanza a settori della Teologia della liberazione) ci sono settori dell'episcopato rilevanti, anche numericamente. Basti pensare alle bordate pressoché quotidiane che giungono dagli Stati Uniti, dove non passa quasi giorno che un vescovo esprima perplessità per i risultati delle discussioni sinodali. Si va dal cappuccino Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia e organizzatore del prossimo Incontro mondiale delle Famiglie (antipasto del grande Sinodo ordinario dell'ottobre 2015), che s'è l'è presa con la confusione fatta dai media e «ispirata dal Diavolo», al vescovo di Providence, Thomas Tobin, che ha accusato il Papa «di aver voluto far casino». 

Nota a margine: monsignor Tobin, nello stesso scritto in cui biasimava la conduzione dell'assemblea sinodale, ha preso le parti del cardinale Raymond Leo Burke, «che continuerà a essere un franco portavoce per gli insegnamenti della Chiesa». Nonostante Burke, la scorsa settimana, abbia detto che «s'avverte la sensazione che la Chiesa sia come una nave senza timone». E poi si dice che non ci sono schieramenti, fronti opposti lontani da trovare quella sintesi che auspica il cardinale Pell, nonostante abbia avvertito nei giorni scorsi che «capriole dottrinali non sono ammesse». In questi mesi che ci separano dal prossimo autunno, aggiungeva il porporato australiano, bisognerà lavorare alacremente per ribadire l'autentica dottrina cattolica, che «si sviluppa nel senso che si comprende la verità più profondamente».