Si sciolgono i Poli, destra e sinistra allo sbando
Una riforma costituzionale che avrebbe dovuto cementare una nuova e più solida unità nazionale si sta in realtà rivelando la pietra tombale delle coalizioni e l’incubatrice di nuovi equilibri tra le forze politiche. Centrosinistra e di centrodestra, così come li abbiamo sempre conosciuti, sembrano ormai sfarinarsi.
Una riforma costituzionale che avrebbe dovuto cementare una nuova e più solida unità nazionale e rinnovare dalle fondamenta l’architettura dello Stato repubblicano si sta in realtà rivelando la pietra tombale delle coalizioni e l’incubatrice di nuovi equilibri tra le forze politiche. A modificare la Magna Carta del nostro ordinamento giuridico sta provvedendo una maggioranza trasversale, non legittimata da un voto popolare, anziché, come probabilmente sarebbe stato più opportuno, un’Assemblea costituente rappresentativa di tutte le tradizioni culturali e socio-politiche. Peraltro, le votazioni sui singoli articoli del disegno di legge Boschi stanno svelando l’impronta trasformistica dell’attuale iter parlamentare, contrassegnato dal sostegno alla linea governativa di spezzoni di opposizioni che stanno così garantendo all’inquilino di Palazzo Chigi e alla sua squadra una navigazione relativamente tranquilla.
É vero, peraltro, che quella riforma i verdiniani l’avevano già votata quando ancora sedevano tra i banchi di Forza Italia e, dunque, ad aver cambiato idea sono stati, più che altro, i senatori azzurri. Fatto sta che gli schieramenti di centrosinistra e di centrodestra, così come li abbiamo conosciuti nella recente storia politica del Paese, sembrano ormai sfarinarsi. Il quadro si sta decomponendo perché sul nuovo Senato si stanno aggregando sensibilità prima in competizione tra loro. E c’è da scommettere che questo meccanismo si riprodurrà anche sulla legge di stabilità, prossima ad approdare in aula. Anche sulle scelte di politica economica e finanziaria, i blocchi sociali condizioneranno l’atteggiamento di alcuni gruppi politici, determinando prevedibili divisioni e convergenze inaspettate.
Il centrodestra, da tempo, non ha più identità. L’ormai incessante diaspora di parlamentari di Forza Italia ne è la riprova, nonostante il leader dell’intera coalizione, almeno formalmente, continui a essere Silvio Berlusconi. Nel suo partito, la percezione è quella di un incombente “rompete le righe”, poiché non s’intravvede alcun progetto politico di rilancio e si oscilla in modo caotico tra un disgelo nei confronti dell’esecutivo e una opposizione a Renzi ormai velleitaria e sterile, inscenata soltanto per compiacere Salvini e per non lasciargli il monopolio del fronte antigovernativo. Il clima è quello del tutti contro tutti: Berlusconi e Salvini s’incontrano in gran segreto, salvo poi diramare ieri una nota congiunta per riferire che la loro riunione è andata bene e che c’è intesa piena sulla strategia.
Ma se davvero fosse così, ci sarebbe già un candidato sindaco per Milano, che invece non c’è, e non tarderebbero a essere ufficializzati programmi condivisi su economia, lavoro, immigrazione, scuola, politica estera, riforme. E invece non ci sono nemmeno quelli, e non ci possono essere, perché la pattuglia azzurra è lacerata da fratture ormai insanabili tra chi vorrebbe resuscitare il Patto del Nazareno con Renzi e chi invece si illude che basti un’operazione di palazzo per rinverdire i fasti di una coalizione coesa e vincente con la Lega e gli altri alleati di un tempo. Senza contare che Salvini non vuole neppure sentir parlare di una riunificazione del centrodestra che coinvolga anche Alfano, mentre il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, in netto contrasto col leader del suo partito, lancia addirittura la candidatura di Maurizio Lupi per Palazzo Marino, proprio per suggellare la ritrovata intesa con Ncd e mettere al riparo la sua giunta del Pirellone da qualsiasi contraccolpo.
Come se non bastasse, anche la destra si frantuma e Giorgia Meloni deve fronteggiare il ritorno delle vecchie volpi del post-fascismo, da Gianfranco Fini a Gianni Alemanno, smaniose di mettere le mani sul tesoretto della Fondazione di Alleanza Nazionale. Con queste scoraggianti premesse, difficile biasimare chi come Alfano, Fitto, Verdini, in momenti diversi e con strategie e azioni differenti, si è smarcato da uno schieramento rissoso e al momento privo di prospettive.
Sull’altro fronte non mancano le fibrillazioni. Non passa giorno che Pierluigi Bersani e gli altri dissidenti dem non lancino siluri nei confronti di Renzi e del suo entourage per denunciare l’inciucio con Verdini e lo snaturamento del progetto Pd. É come se Renzi, col suo trasversalismo, avesse scardinato le certezze della sinistra e stesse contribuendo alla demolizione dell’attuale centrosinistra per dar vita a una creatura centrista allargata, il tanto sbandierato “Partito della Nazione”. Non solo gli oppositori interni, ma anche Sel, i civatiani e gli altri cespugli della sinistra più ideologica non perdono occasioni per manifestare la loro netta contrarietà alle politiche governative. Prima o poi, quindi, la scissione nel Pd diventerà inevitabile e sarà quello il detonatore di una definitiva scomposizione degli attuali schieramenti e l’aggregazione di tutti gli attori politici su basi diverse e in contenitori nuovi.