Serbia e Austria, una vittoria e una sconfitta per l'Ue
In Serbia vince di nuovo la coalizione guidata dal Partito Progressista, affermatosi grazie ai suoi toni anti-europeisti, ma ora convinto sostenitore della causa pro-Ue, a costo di rinunciare (di fatto) al Kosovo. Al contrario, in Austria il primo turno sbaraglia i partiti tradizionali e porta al ballottaggio un euroscettico e un verde.
Come ampiamente previsto nelle settimane precedenti al voto, le elezioni politiche serbe sono state dominate dalla coalizione guidata dal Partito Progressista (SNS) del Primo ministro uscente Aleksandar Vu?i? che, secondo gli ultimi dati, stacca addirittura del 35% la seconda arrivata, quella del Partito Socialista (SPS) dell’ex Ministro degli Esteri Ivica Da?i?. Conferma le aspettative anche il Partito Radicale (RSS) di Vojislav Šešelj, che si è fermato all’8%, rappresentando in questo modo la terza forza del Paese. La soglia di sbarramento del 5% è stata superata anche dal Partito Democratico (DS), arrivato, come il movimento Dosta je bilo (che in italiano sarebbe equivalente a “Ne abbiamo abbasta”), attorno al 6%. In Parlamento siederanno anche l’Alleanza per una Serbia Migliore (SZBS) dell’ex Presidente della Repubblica Boris Tadi? e Dveri - Partito Democratico di Serbia, una coalizione di destra, che sono riusciti in extremis ad entrare in Parlamento. A conferma della scarsa fiducia dei cittadini nei confronti della politica, comunque, l’affluenza è stata bassa (56,3%), anche se ha segnato un lieve aumento rispetto al disastroso dato di due anni fa, quando aveva votato solo il 53% degli aventi diritto.
Sebbene i risultati non siano ancora stati ufficializzati dalla Commissione Elettorale, è comunque già possibile effettuare la conta dei seggi. Secondo la TV di Stato RTS, infatti, la maggioranza andrà proprio alla coalizione guidata da Vu?i?, che insieme ai suoi alleati dovrebbe portare a casa 131 rappresentanti su 250. Al di là di questo numero, comunque, il politico belgradese potrà governare contando anche sulla forte divisione interna all’opposizione, in cui vi sono anime ideologicamente molto distanti e difficilmente orientate alla collaborazione. Anche alla luce di ciò, non c’è da stupirsi che il leader del Partito Progressista sia apparso estremamente sorridente durante la conferenza stampa indetta per commentare la vittoria e che egli abbia immediatamente fatto cenno all’aspetto prioritario del suo programma, ossia la velocizzazione del processo di integrazione della Serbia in Europa. Sebbene possa sembrare un argomento scontato per un Paese balcanico (tutti gli stati ex-jugoslavi, infatti, sono già membri della UE o aspirano a diventarlo quanto prima), l’avvicinamento a Bruxelles è un tema particolarmente spinoso per Belgrado, in quanto significa necessariamente accettare la perdita del Kosovo. La vittoria di Vu?i?, quindi, dimostra che, forse più per stanchezza che per convinzione, i serbi hanno accettato di rinunciare alla loro regione storicamente e religiosamente più importante. L’Europa, quindi, nonostante una scarsa attenzione ai problemi della Regione, vede aumentare significativamente la propria influenza locale, una conquista che dovrà essere capace di non vanificare con scelte politiche avventate o superficiali.
Decisamente meno soddisfacenti per l’Europa, invece, sono stati i risultati del primo turno delle elezioni Presidenziali austriache, che hanno visto uscire pesantemente sconfitti i rappresentanti delle due forze politiche che per quasi tutto il dopoguerra si sono alternate al governo. Come riporta il Wiener Zeitung, infatti, il Popolare Andreas Khol e il Socialdemocratico Rudolf Hundstorfer hanno ottenuto lo stesso deludente risultato, fermandosi all’11,18% delle preferenze ed arrivando rispettivamente quarto e quinto (per meno di 130 voti). A passare al secondo turno, quindi, sono Norbert Hofer, candidato del Partito delle Libertà (euroscettico e fortemente conservatore) che ha ottenuto oltre il 36% delle preferenze e Alexander Van der Bellen dei Verdi, classificatosi secondo con il 21%. A sorpresa, la terza arrivata è Irmgard Griss, candidata indipendente ed ex Presidente della Corte Suprema austriaca: proprio i suoi elettori saranno decisivi nella scelta del nuovo Capo di Stato, dato che è plausibile che nel ballottaggio Van der Bellen venga sostenuto dai socialisti e dalla sinistra, il che gli permetterebbe di riuscire a pareggiare la percentuale di Hofer. Quest’ultimo, in particolare, si è dimostrato particolarmente abile nello sfruttare l’inadeguata gestione europea dell’emergenza immigrazione, usando toni forti e promettendo di risolvere la questione e sciogliere il Governo se questo non approverà misure più restrittive in materia di accoglienza.
Proprio in quest’ottica sembra vada letta la prova di forza dell’Esecutivo socialdemocratico guidato da Werner Feymann, che pochi giorni fa aveva sconvolto l’Europa schierando mezzi dell’Esercito lungo il Brennero. Il tentativo del Cancelliere di depotenziare il principale strumento di propaganda della destra, però non ha sortito alcun effetto ed è probabile che proprio su tale tema si deciderà l’esito del secondo turno elettorale. Anche se il tempo a disposizione prima del voto è poco, per disinnescare la bomba euroscettica risulterebbe particolarmente importante che Bruxelles desse dimostrazione di comprendere i pericoli che sta correndo con le sue politiche avulse dalla realtà percepita dall’elettorato. Se la Commissione e il Consiglio Europeo non inizieranno a dare il giusto peso ai timori della popolazione (soprattutto a proposito dell’immigrazione), c’è il forte rischio che anche altri Paesi seguano la strada già intrapresa dalla Polonia e che anche l’Austria si accinge a percorrere. Il risultato di ciò non potrebbe essere altro che il completo caos nel Vecchio Continente.