Sentenza Becciu, le motivazioni: non ha rubato ma è colpevole
La condanna per peculato riguarda soldi di cui il cardinale nemmeno si è appropriato. Resta in ogni caso sproporzionata l'esclusione da un eventuale conclave. E stona la rivendicazione vaticana di trasparenza pensando al caso Rupnik.
La scorsa settimana, dopo un'attesa lunga quasi undici mesi, sono state depositate le motivazioni della sentenza del processo vaticano nato dallo scandalo immobiliare di Londra. Nonostante il procedimento penale a carico di altre dieci persone, a leggere il resoconto fatto dalla comunicazione della Santa Sede sembrerebbe quasi che l'unico imputato sia stato il cardinale Giovanni Angelo Becciu. Addirittura Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, si è scomodato a scrivere un editoriale intitolato Processo giusto e trasparenza. Per l'impiegato della Santa Sede, «nonostante le accuse e le dichiarazioni mediatiche relative ai diritti della difesa che non sarebbero stati garantiti, è evidente l’esatto contrario» ed «è positivo che all’interno dello stesso sistema della Santa Sede si siano sviluppati gli “anticorpi” che hanno permesso di portare alla luce i fatti oggetto del processo, nella speranza che non si ripetano più». Insomma, per l'oste il vino è buono.
Non solo: l'editoriale di un organo ufficiale non si risparmia un finale esopico, con la morale di Tornielli: «diversificare gli investimenti, considerare il rischio, stare alla larga dai favoritismi e soprattutto evitare di trasformare i soldi che si maneggiano in uno strumento di potere personale sono insegnamenti da trarre dalla vicenda di Sloane Avenue». La rivendicazione di lontananza dai favoritismi e di trasparenza stonerà un po' agli occhi di chi ha ancora in mente la gestione del caso Rupnik. Su questo punto, a proposito di trasparenza, continuano a non esserci notizie sull'andamento dell'indagine del Dicastero per la Dottrina della Fede.
Ma tornando alle motivazioni della sentenza del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, tra gli elementi più rilevanti passati in sordina nella stampa nazionale c'è il riconoscimento che monsignor Alberto Perlasca, prima indagato e poi nemmeno rinviato a giudizio al punto da costituirsi parte civile nel processo, non è stato ritenuto attendibile dai giudici vaticani. Il monsignore, capo ufficio amministrativo della Prima Sezione della Segreteria di Stato ai tempi dei fatti contestati, non è stato una comparsa nell'indagine e nel processo, ma il grande accusatore di Becciu. Il Tribunale vaticano ha bollato le testimonianze di Perlasca come prive dei «richiesti crismi di coerenza e attendibilità». Alla luce di ciò, non è forse legittimo chiedersi l'origine di quelle accuse che sono state buttate nel cestino dai giudici? Anche su questo punto non sarebbe male vedere ripristinata quella trasparenza evocata da Tornielli, specialmente in virtù del fatto che oggi il monsignore è stato reintegrato nel suo ruolo di promotore di giustizia sostituto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
Nonostante la condanna, nelle motivazioni della sentenza si può rintracciare la scorrettezza della campagna mediatica di cui Becciu fu vittima dal 25 settembre 2020. L'immagine di un cardinale che si è arricchito ed ha arricchito la propria famiglia coi soldi dell'Obolo di San Pietro viene smentita dai fatti riportati dai giudici vaticani che, pure, lo condannano: il peculato si riferisce a due contributi da 25.000 e 100.000 euro partiti dai conti della Segreteria di Stato a vantaggio della cooperativa Spes gestita da persone vicine a Becciu. La sentenza non mette in discussione le finalità di promozione umana e integrazione sociale per le quali avrebbero potuto essere utilizzati i soldi e non nega il loro mancato utilizzo da parte della Spes, ma contesta l'illiceità dell'elargizione di denaro pubblico in virtù del ruolo coperto ad un soggetto legato a familiari. Di fronte a queste cifre, nemmeno spese e comunque destinate a progetti umanitari sia pur condotti da una cooperativa di parenti, fa un certo effetto rileggere gli articoli del settembre 2020 dove si parlava di «montagna di soldi», di « vero e proprio metodo» e di «spada di Francesco sui corrotti».
Al di là dell'aspetto penale su cui si è pronunciato il Tribunale vaticano, una illiceità di questo carattere e di queste dimensioni, anche laddove fosse avvenuta (e il cardinale lo contesta), può arrivare a costare i diritti del cardinalato? Secondo i voleri del Papa, imposti prima dell'inizio dell'indagine formale, a causa di questi soldi di cui nemmeno si è appropriato Becciu dovrebbe essere escluso da un conclave in cui, fino al compimento degli 80 anni avvenuto poco più di un mese fa, avrebbe potuto mettere piede invece un cardinale reo confesso di aver molestato una 14enne.
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