Sempre più critica la situazione ad Haiti
I missionari che scelgono di restare al fianco della popolazione ne condividono i rischi, le angosce e le sofferenze
I missionari che hanno deciso di restare al fianco della popolazione haitiana rischiano la vita ogni giorno, specialmente quelli che vivono nella capitale e nelle sue vicinanze, dove operano praticamente incontrastate centinaia di bande armate. “La vita ad Haiti, in particolare nell’area metropolitana di Port-au-Prince, non può essere descritta a parole. Siamo in uno stato di anarchia quasi totale. La gente non è più in grado di svolgere le proprie attività, le strade principali sono chiuse. Viviamo costantemente in un clima di insicurezza, con sfollamenti forzati e carestia. I problemi del cibo, dei kit sanitari e dell’acqua potabile devono essere risolti con urgenza. Come è altrettanto molto difficile garantire la sopravvivenza economica. Come tesoriere quello che chiedo alle comunità è un razionamento drastico, perché davvero non sappiamo cosa accadrà domani. Ciò che è evidente è che le bande vogliono controllare l'intero paese. La maggior parte delle risorse finanziarie che abbiamo provengono dall’esterno. È molto difficile ricevere aiuti nell’area metropolitana per via della chiusura delle vie di comunicazione. Tuttavia qualcosa si può fare nel resto del Paese, soprattutto al Nord, dove si possono acquistare i prodotti e distribuirli a chi è più vicino, come studenti, le loro famiglie e i collaboratori”. A fornire questa testimonianza della drammatica situazione ad Haiti è padre Victor Auguste, un missionario salesiano. A riportarla è l’agenzia di stampa Fides. La testimonianza di padre Victor prosegue descrivendo una situazione sempre più critica, di costante pericolo: “ogni giorno – dice – affrontiamo rischi enormi, quando sento che qualche istituzione è stata attaccata penso a quando toccherà a noi. Qualche settimana fa hanno rapito alcune suore, sono entrati nella loro casa e le hanno portate via. Sono ricomparse dopo pochi giorni. E la stessa cosa accade con la popolazione civile. Scompaiono e chiedono soldi per liberarli. Viviamo nel cuore degli eventi e, come i nostri fratelli e sorelle, affrontiamo le stesse difficoltà. Non abbiamo mai considerato l’opzione di lasciare il Paese, andarsene significherebbe abbandonare la nostra missione a favore dei più bisognosi in questi tempi difficili. È vero che ora siamo tutti vulnerabili, ma è la nostra scelta di vita. Essere accanto alle persone, sperimentare ciò che stanno vivendo è già un grande segno di speranza, mentre speriamo di organizzarci per aiutarle nei bisogni più urgenti.”