Semi di politica nuova: fattore famiglia, si può
Sostenere le famiglie: è questa l’idea alla base della legge sul fattore famiglia, approvata martedì dal Consiglio regionale della Lombardia. Stanziati per il primo triennio 4,5 milioni di euro per affitti, trasporti, inserimento lavorativo e soprattutto una dote scuola. Quello lombardo è un esperimento, ma è il segno che una politica nuova è possibile.
Rimediare ad alcune carenze tipiche del calcolo dell’Isee, per garantire una maggiore equità nell’assegnazione delle risorse a sostegno delle famiglie lombarde. È questa l’idea alla base della legge sul fattore famiglia, approvata martedì dal Consiglio regionale della Lombardia con 40 voti a favore (Lega, Lombardia Popolare, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Partito Pensionati), 12 contrari (Movimento 5 stelle, Sel e parte del Patto Civico) e 17 astenuti (Pd). Il provvedimento, che ogni tre anni prevede un aggiornamento dei criteri e delle modalità attuative da parte della giunta regionale, stabilisce l’immediata applicazione del fattore famiglia a quattro ambiti specifici: il buono scuola e il buono libri previsti attraverso la misura della “Dote Scuola”, i progetti di inserimento lavorativo, i contratti di locazione a canone concordato (esclusi gli alloggi di edilizia residenziale pubblica) e il trasporto pubblico locale.
Il cambiamento di approccio sta nel fatto che, per accedere agli aiuti regionali, si terrà sì in conto la situazione reddituale e patrimoniale (posseduta anche all’estero, come stabilito da un emendamento), ma al contempo si darà maggiore rilevanza a elementi quali il numero e l’età dei figli, compresi i minori in affido, la presenza in famiglia di persone non autosufficienti, disabili, anziani e donne in gravidanza. Altri elementi di priorità riguardano le famiglie con un mutuo per l’acquisto della prima casa e l’anzianità di residenza in Lombardia. Secondo il presidente del Consiglio regionale della Lombardia e tra i primi firmatari della proposta, Raffaele Cattaneo, si tratta di “uno strumento in grado di considerare i bisogni dei nuclei familiari che devono essere sostenuti attraverso criteri chiari che incentivino la natalità, tenendo conto anche delle situazioni di bisogno e di fragilità che tante famiglie lombarde vivono”.
Il testo prevede l’erogazione di 4,5 milioni di euro per il primo triennio, una cifra già stanziata a bilancio nel titolo “spese correnti” e che in conseguenza del voto in aula verrà appunto specificamente destinata a questa prima fase di sperimentazione del fattore famiglia, che potrebbe diventare un modello per altre regioni. Il proposito è quello di aumentare i fondi a disposizione in base al numero di nuclei familiari che chiederanno di usufruire delle agevolazioni previste. Nelle intenzioni dei proponenti, la legge - salutata con favore dal Forum nazionale delle associazioni familiari, da anni impegnato a promuovere l’adozione del fattore famiglia e che ora chiede al governo Gentiloni di seguire l’esempio lombardo - costituisce infatti un iniziale tassello nella legislazione regionale, un modo per dare una prima risposta al problema della denatalità e incoraggiare le famiglie a fare più figli, prevedendo maggiori misure di supporto per quella che è la cellula fondamentale della società, ma sempre più bistrattata a livello nazionale (come dimostra tra l’altro la legge sulle “unioni civili”).
La Lombardia ha un tasso di fecondità di 1.4, di poco superiore al dato nazionale (1.3), ma pur sempre lontano dalla soglia di 2.1 figli per donna in età fertile, che i demografi considerano la quota minima per garantire il necessario ricambio generazionale. È quindi evidente che, per incentivare la natalità, serve una generale inversione di rotta, a livello di sostegno economico e – ancor prima – di cambiamento di mentalità. Se in Lombardia c’è la volontà di fare dei passi nella direzione giusta, il quadro nazionale appare invece tragicomico per la totale mancanza di buonsenso.
Per accedere ai benefici previsti dalla nuova legge lombarda, l’articolo 3 stabilisce alcuni prerequisiti, primo tra tutti il regolare pagamento delle imposte regionali. Rispetto al testo uscito dalla commissione Bilancio, il Consiglio ha votato degli emendamenti che richiedono alle famiglie di aver ottemperato all’obbligo di istruzione per i figli, di non aver occupato abusivamente appartamenti e terreni negli ultimi cinque anni e, per i genitori separati, di aver rispettato il pagamento del contributo per i figli disposto dalla magistratura.
Tra i possibili campi di applicazione, la legge include le prestazioni “negli ambiti sanitari, sociali e socioassistenziali”, nonché nei servizi scolastici e di formazione, anche con l’intento di “favorire la libertà di scelta educativa”. Un principio, quest’ultimo, che la legislazione nazionale prevede sulla carta, ma che viene sempre osteggiato dalla miopia di certi partiti quando si tratta di venire incontro alle necessità dei genitori che scelgono le paritarie per i propri figli (e che, oltre a pagare la retta, contribuiscono a sovvenzionare la scuola statale attraverso la fiscalità generale). Bene, perciò, se con il fattore famiglia si riuscirà a dargli seguito in modo concreto.