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CASO BIANCOFIORE

Se le associazioni minacciano la democrazia

Il caso Biancofiore mette in rilievo una più ampia tendenza delle democrazie a piegarsi alla volontà di associazioni non elette e che a malapena rappresentano i propri associati. Ma a livello nazionale e non il loro potere è diventato enorme.

Editoriali 07_05_2013
Biancofiore

Com'è noto, solo perché delle associazioni gay hanno alzato la voce, il presidente del consiglio Enrico Letta ha revocato all’onorevole Michaela Biancofiore l’incarico di sottosegretario per le Pari opportunità conferitole appena due giorni prima. “È tutta la comunità gay ad accusare la parlamentare”, “comunità omosessuale in rivolta”, “una nomina che ha scatenato la comunità omosessuale”: sono alcuni dei titoli letti sui mass media.

In realtà a “scatenarsi” sono state associazioni quali Arcigay, Arcilesbica, GayLib, Gaynet. Resta da sapere se queste associazioni abbiano interpretato i sentimenti di tutta la popolazione omosessuale italiana. Essendo impossibile verificarlo, si può tuttavia ipotizzare che abbiano espresso se non altro quelli degli associati, ma neanche questo è certo. Può anche darsi, infatti, che non tutti i soci fossero preoccupati e offesi da quanto detto dal sottosegretario Biancofiore. Non è nemmeno escluso che molti, intenti ad altro, non fossero informati delle affermazioni del sottosegretaria e persino che una parte degli iscritti alle associazioni non fossero e non siano tuttora a conoscenza che Michaela Biancofiore era stata nominata sottosegretario per le Pari opportunità.

A prescindere dalla questione in oggetto, il fatto è che un’istituzione democratica – risultato cioè di una consultazione elettorale intesa ad applicare il principio della sovranità popolare e realizzata nel pieno rispetto delle procedure previste dalla costituzione – si è inchinata alla volontà di alcuni gruppi di persone costituite in organizzazione, senza minimamente sapere di chi fossero davvero portavoce. Il problema di chi rappresentino, e in che termini, si pone in effetti con tutte le associazioni civili.

Eppure il loro potere è diventato enorme. Le sole organizzazioni non governative sono centinaia di migliaia – più di 37.000 quelle internazionali, secondo le stime dell’UNDP, l’agenzia ONU per lo sviluppo – con una disponibilità complessiva di capitali che ne fa la quinta economia del mondo. Alcune migliaia sono accreditate alle Nazioni Unite dove svolgono importanti funzioni consultive e organizzative. Al Palazzo di Vetro hanno acquisito potere crescente a partire dagli anni Novanta, soprattutto durante i due mandati di Kofi Annan, segretario generale dell’ONU dal 1996 al 2006, che ne ha notevolmente accresciute le funzioni.
Annan e con lui Mary Robinson, Alto Commissario ONU per i diritti umani dal 1997 al 2002, ritenevano che le organizzazioni non governative fossero i “veri guardiani della democrazia e del buon governo ovunque”.

Sarebbero le associazioni civili, secondo questo modo di vedere, l’autentica democrazia: perché danno visibilità e voce alle minoranze, agli emarginati, ai deboli, ai soggetti discriminati e osano sfidare i governi; legittimate a imporre al mondo la loro visione di bene e di male se solo si dichiarano interpreti di bisogni umani negati, difensori di libertà e diritti personali minacciati.

Ma mentre un governo, un parlamento sono in effetti espressione di una maggioranza di elettori e per di più chi ricopre cariche politiche almeno si impegna sotto giuramento a rappresentare l’intera popolazione di uno stato e a curarne gli interessi, indipendentemente dallo schieramento che lo ha votato e lo sostiene, i responsabili di un’associazione civile, invece, sono tenuti a rispondere del loro operato unicamente ai propri soci e ai propri finanziatori, tanti o pochi che siano, e non rappresentano di fatto altri che loro, anche quando si propongono e vengono accolti come “voce” di una categoria o di un gruppo sociale, se non dell’intero genere umano.

C’è dell’altro. Un'associazione – non è un’ipotesi, succede davvero – può pretendersi portavoce, ad esempio, dei contadini del Kenya, parlare a una conferenza mondiale delle Nazioni Unite in nome loro, reclamando, per citare delle campagne di grande rilevanza, e discutibile opportunità, realmente lanciate dalle associazioni civili, provvedimenti contro il riscaldamento globale, la condanna di Israele per genocidio, risarcimenti per la tratta atlantica degli schiavi e la colonizzazione europea dell’Africa, e ottenere finanziamenti internazionali per proseguire la propria attività, senza aver mai consultato i suddetti contadini, essendo in realtà composta da poche decine di soci mentre i milioni di contadini del Kenya per la maggior parte, o quasi tutti, neanche sanno della sua esistenza, non hanno avuto alcun ruolo nella sua costituzione e tanto meno l’hanno delegata a rappresentarli.

Restando a questo esempio, va detto che, in verità, difficilmente un’associazione di contadini africani riesce a influire sulle scelte e sulle azioni governative: del proprio governo, beninteso, ma su quelle delle Nazioni Unite e magari del governo italiano, sì.