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IL DOCUMENTO

Se in Usa torna la voglia di fare la guerra ad Assad

Con un documento, 51 diplomatici del Dipartimento di Stato americano, incluso l’ex vice ambasciatore o a Damasco, hanno inviato una nota di protesta alla Casa Bianca Casa per convincerla a mutare atteggiamento nel conflitto siriano. I diplomatici chiedono di avviare raid aerei contro obiettivi del regime di  Assad.

Esteri 22_06_2016
Il presidente siriano Bashar Assad

Il New York Times l’ha definita una «protesta senza precedenti», ma il documento sulla guerra in Siria sottoscritto da ben 51 diplomatici statunitensi potrebbe nascondere molto di più dell’ennesima, severa critica alla politica estera e di difesa dell’Amministrazione Obama.

Con un documento reso noto il 17 giugno molti diplomatici del Dipartimento di Stato, incluso l’ex vice ambasciatore americano a Damasco, hanno inviato una nota di protesta al cosiddetto "dissent channel", un canale creato ai tempi della guerra del Vietnam attraverso il quale funzionari e diplomatici rendono note le loro divergenze con il vertice politico senza subire conseguenze disciplinari. Nel documento i diplomatici chiedono alla Casa Bianca di mutare atteggiamento nel conflitto siriano e avviare raid contro le forze di Damasco sostenendo che «l'uso giudizioso» di missili da crociera e raid aerei contro obiettivi del regime avrebbe spinto Assad a cercare una soluzione negoziata.

Proseguendo sulla strada attuale, sostiene il documento, «lo status quo in Siria continuerà a porre crescenti e disastrose sfide dal punto di vista umanitario, diplomatico e da quello del terrorismo». In realtà, da molti mesi a Washington è un atto un aspro confronto intorno alla crisi siriana che vede il Dipartimento di Stato chiedere un intervento militare che determini il crollo di Bashar Assad per porre fine a una guerra civile che ha provocato dal 2011 un numero di vittime stimato tra 300 mila e i 400 mila e che crea grande instabilità nella regione.

Più cauto il Pentagono che valuta le possibili gravi implicazioni legate al supporto militare diretto offerto da Mosca a Bashar Assad. In pratica, colpire le forze siriane oggi significa muovere guerra ai russi in un momento in cui una nuova “cortina di ferro” è calata sui confini orientali dell’Europa dove 31 mila militari della Nato sono in queste ore in addestramento a pochi chilometri dal territorio russo di Kaliningrad. Il rischio di rendere “calda” la nuova guerra fredda è quindi una certezza in caso di azioni militari americane contro Damasco, peraltro difficili da giustificare se non ufficializzando un’alleanza tra gli Usa e i movimenti islamici che combattono Assad. Gli unici in grado di approfittare di un intervento militare statunitense poiché la cosiddetta “opposizione moderata” ha un peso militare irrilevante e un peso politico insignificante. 

Specie perché le monarchie sunnite del Golfo investono armi e denaro non certo per far trionfare una forma di democrazia all’europea in Siria, ma per imporvi la sharia attraverso i movimenti riuniti nell’Esercito della Conquista che comprende al-Qaeda (fronte al-Nusra), Fratelli Musulmani e Salafiti. Dopo un primo momento di imbarazzo, determinato forse soprattutto dal fatto che il documento è stato fatto filtrare al New York Times, Il segretario di Stato John Kerry non solo non ha condannato né immediatamente preso le distanze dal documento dei 51 alti funzionari del Dipartimento di Stato, ma ha espresso pubblicamente il suo apprezzamento per il testo definito «molto buono» e aggiungendo che intende «incontrarne gli autori».

Finora Obama ha condiviso la prudenza dei militari rifiutando ogni ipotesi di maggior coinvolgimento degli Usa nel conflitto e limitando il ruolo statunitense alla guerra (blanda) all’Isis e al sostegno ai ribelli “moderati”. Obama, però, tra sei mesi lascerà la Casa Bianca e non è detto che iniziative come quella dei “diplomatici ribelli” non abbiamo l’obiettivo di saggiare gli umori in vista di un cambiamento di rotta con un’eventuale amministrazione Clinton (quella di Hillary) o puntino a non far perdere la poltrona a Kerry qualora la prossima amministrazione rimanesse in mano al Partito Democratico.

Al di là dei giochi pre-elettorali in atto a Washington, il documento dei 51 alti funzionari del Dipartimento di Stato aumenta le tensioni con Mosca. Nei giorni scorsi il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, ha ribadito che rovesciare Bashar al-Assad in Siria «potrebbe far sprofondare la regione nel caos più totale e difficilmente potrà essere d’aiuto per una lotta efficace contro il terrorismo». Gli osservatori valutano improbabile che Obama muti il suo atteggiamento inseguendo pericolose avventure belliche a pochi mesi dalla fine del suo mandato, ma è sorprendente che proprio dei diplomatici puntino a cercare il confronto militare con Mosca, una guerra in prospettiva ben più grave, ampia e sanguinosa di quella siriana.

Non è forse un caso che in questo clima sia stata resa nota lunedì la notizia che, per la prima volta dall'inizio della guerra in Siria, un caccia statunitense F-18 e un bombardiere russo Sukhoi 24M (lo stesso modello del velivolo abbattuto dai turchi sul confine siriano nel novembre scorso) si sono confrontati in volo. Secondo quanto trapelato, un caccia F-18 statunitense è stato fatto decollare da una delle due portaerei Usa nel Mediterraneo, la Truman o la Eisenhower per intercettare un SU-24M russo che stava per colpire una postazione dell'opposizione moderata siriana sostenuta da Washington.

Come riferisce il britannico Daily Telegraph quando il jet russo si è accorto della presenza dell'F-18 si è rapidamente allontanato per poi tornare indietro e colpire l’obiettivo previsto ad al-Tanf approfittando del ritorno alla base dell'F-18 per fare rifornimento. Nel raid sono rimasti uccisi due membri del Nuovo Esercito Siriano e 18 sono rimasti feriti. La notizia non è del tutto convincente e i dettagli andrebbero meglio precisati: i caccia volano sempre in coppia, mai da soli, e del resto la portaerei avrebbe potuto rapidamente inviare una pattuglia di jet a dare il cambio a quelli che avevano esaurito il carburante oppure inviare un’aerocisterna per rifornirli in volo.

Secondo il Telegraph, il Pentagono ha protestato sostenendo che si è trattata di una deliberata provocazione da parte dei russi che si sono difesi sostenendo che le indicazioni fornite da Washington non coincidono con l'obiettivo colpito. Qualcosa si muove nel conflitto siriano ma i segnali non sono certo distensivi.