Se il vescovo smette di insegnare all'uomo la verità su vita e morte
All'ospedale di Parma l'Asl e le università hanno creato la stanza del silenzio: un luogo in cui meditare sul dolore e la morte ma senza simboli religiosi, per dialogare con tutti. E in prima fila, tra gli entusiasti, c'è la diocesi. Che ha abbandonato l'insegnamento sulle verità della vita e della morte, unendosi al coro degli epigoni della religione mondiale 2.0 e gettando alle ortiche il criterio oggettivo con cui leggere la realtà attraverso gli occhi della fede.
L’Asl di Parma ha inaugurato un nuovo servizio per i pazienti e i familiari ospitati all’Ospedale Maggiore. E’ una stanza. No, non troveranno posto ecografi o lettini. Non ci sarà nulla. Proprio nulla: né arredi, né oggetti, né sedie. Perché non servono allo scopo e lo scopo è quello di affrontare il dolore della malattia o la perdita della morte. L’hanno ribattezzata Stanza del silenzio e quelli di Repubblica, che di queste novità sono sempre ghiotti, l’hanno confezionata così: “Parma, una stanza dove le preghiere non hanno bandiere”.
Facile immaginare il senso: siccome le cappelle col Santissimo offendono le altre fedi, bisogna creare qualche cosa che vada bene a tutti. Ma che cosa? Semplice: una stanza dove annullare qualunque riferimento al sacro e che nelle intenzioni si dica che possa andare bene a tutti: cattolici, buddisti, musulmani, induisti, ebrei e persino atei dato che al tavolo nazionale voluto da un Forum interreligioso del quale si disconosce l’autorevolezza devono starci proprio tutti.
Non è la prima stanza del silenzio che viene creata. Sempre Repubblica ci informa che negli Stati Uniti è ormai una prassi e che l’idea nacque all’Onu nel lontano 1954 quando l’allora segretario della Nazioni Unite fece predisporre una camera di meditazione per i dipendenti del quartiere. Così con la scusa del pluralismo religioso, si abbandonano le specificità delle varie religioni che sulla morte hanno elaborato un pensiero profondo, per mettere pari tutti. Come avrebbe detto Totò: dato che la morte è una livella, anche la riflessione su di essa deve vedere tutti partire dallo stesso punto. Che non è come avrebbe detto un Sant’Alfonso la consapevolezza che di fronte all’ora fatale non ci sono né re né plebei, ma è il nulla, appunto.
L’iniziativa di Parma è significativa però, rispetto ad altre già create in Italia, come Torino, per due motivi.
Anzitutto è sponsorizzata da numerosi enti pubblici, i quali attuano direttive di scristianizzazione già affermate e utilizzano i nostri soldi anche per questi scopi che al contribuente potrebbero sembrare discutibili per il semplice fatto che esulano dalle loro competenze: che si debba incaricare l’Asl di Parma di livellare tutte le esperienze religiose di fronte a come reagire alla morte è alquanto discutibile, che a collaborare a questo progetto ci siano professionisti, immaginiamo ben pagati, di alcune università, come quella di Modena-Reggio e quella di Padova, è folcloristico, perché da sempre gli atenei sono i luoghi del sapere. La loro presenza in questo tipo di progetti invece certifica che le Università non hanno praticamente nulla da dire se non il silenzio e una meditazione tanto vaga quanto sterile.
La seconda specificità è che alla causa ha portato acqua anche la Diocesi di Parma che, sostiene sempre Repubblica, ha accettato di partecipare entusiasta alla creazione della stanza del silenzio. E ti pareva: non bastava aver lodato i grandi epigoni del laicismo italiano come Pannella e Dario Fo come improbabili cristiani inconsapevoli, adesso le gerarchie ecclesiastiche sono prone persino nello svendere a buon mercato ciò che hanno ricevuto in custodia: l’anima delle persone e la verità sul loro destino eterno.
In Diocesi a Parma si vede che si è pensato di tradurre alla lettera la profezia di John Lennon che in Imagine si augurava un mondo finalmente senza religioni. Eccolo accontentato, grazie a vescovi che hanno scambiato il mito del dialogo come un risvolto moderno e rattrappito dell’evangelizzazione. Accantonando la verità per far posto al disorientamento, smettendo di dare criteri per leggere la realtà attraverso la fede.
A noi viene in mente un’altra canzone, di Gino Paoli: il nulla in una stanza. Il cielo non c’è più. Di fronte al silenzio come grido nel vuoto e non, come direbbe il cardinal Sarah, luogo privilegiato dell’ascolto, non ci resta che il nulla.
E’ evidente che non c’è stato nessun buddista che si sia lamentato con la direzione dell’ospedale per non aver trovato una cappella di suo gradimento durante il ricovero; né che i musulmani abbiano chiesto di avere a disposizione una camera di meditazione dove stendere lo stuoino tra un ciclo e un altro di chemio. Si procede per false risposte a bisogni veri: siccome ormai non siamo più cattolici, trasformiamo tutto in modo che vada bene a tutti. Però qualche spazio ci vuole perché la morte è assurda e noi, dopo aver cacciato Dio dalle nostre porte principali non ce lo vediamo più.
Con buona pace per la verità sull’uomo che difficilmente potrà trovare pace e risposte tra quattro mura agghindate con quadri da biennale e suppellettili sincretiche. E’ proprio vero che quando uno non crede più a niente diventa credulone. A Parma, complice la direzione sanitaria e uno stuolo di cultori autorevoli della nuova religione 2.0, quella che dovrà affratellare i popoli senza un briciolo di verità, si adora il vitello d’oro del silenzio nichilistico, ma elevandolo a religione perché è questo che deve tenere legati gli uomini: una indistinta e informe di sentimenti vacui e terribilmente umani.
E a certificare tutto questo c’è la complicità di pastori che hanno deciso di abbandonare la loro missione per accontentarsi del dio ignoto degli ateniesi. Anzi, più che ignoto: il Dio assente, il Dio del così è se vi pare. Però quella stanza una cosa la dice: dopo aver fatto di tutto per cacciare Dio dalla propria vita si ritorna come in un gioco dell’oca al punto di partenza. Con le stesse domande, ma senza pretendere una risposta, che a ben guardare sarebbe a portata davvero di tutti.