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La questione

Se i comandamenti in politica non valgono più

Le cronache odierne fanno pensare che i comandamenti non valgano più in politica, a partire dal primo dei principi non negoziabili. Nel pontificato di Francesco si lascia intendere che si può votare chiunque… Un sintomo del relativismo etico, denunciato da san Giovanni Paolo II.

Dottrina sociale 30_04_2024
Biden e papa Francesco (via LaPresse)

Due notizie recenti. Il senatore della Georgia Raphael Warnock, cristiano protestante che promuove il matrimonio omosessuale e l’aborto pressoché illimitato, ha riferito che papa Francesco, incontrandolo, lo ha elogiato per essere «radicato nella sua fede» [vedi qui]; il presidente americano Joe Biden ha fatto il segno della croce durante un evento della campagna pro aborto in Florida [vedi qui]. Nel 2021 girava voce che i vescovi degli Stati Uniti sarebbero stati pronti ad una scomunica. Il cardinale Gerhard L. Müller si era detto d’accordo.

Da queste notizie viene da pensare che i comandamenti non abbiano più alcuna importanza in politica, principalmente il primo dei principi non negoziabili, quello relativo al rispetto della vita dell’essere umano concepito.

Del resto, nel pontificato di Francesco si sono verificati moltissimi episodi di questo genere. Oggi la Chiesa non pone più, come criterio fondamentale per l’agire politico, il rispetto dei primissimi principi della legge naturale. Come se il Creatore non avesse creato la vita sociale secondo un ordine di verità. I silenzi del magistero odierno di fronte a questi sconvolgenti abusi ormai non si contano e spesso dobbiamo registrare addirittura interventi a loro sostegno. Nel frattempo, qualche povero cattolico si chiede ancora se può votare un partito che sia a favore dell’aborto e si pone mille problemi di coscienza a questo proposito. Accadrà così anche per le prossime elezioni europee. E intanto la Chiesa ufficiale, nei suoi vertici, lascia intendere che si può votare chiunque, anche chi sostiene l’aborto fino alla nascita.

Viene in mente quando san Giovanni Paolo II chiedeva: «La Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell’arco della storia, essi si sono allontanati dallo Spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano forme di antitestimonianza e di scandalo» (Tertio millennio adveniente, 1994, n. 33). Sempre in questa Lettera apostolica, papa Wojtyła scriveva: «Come tacere, ad esempio, dell'indifferenza religiosa, che porta molti uomini di oggi a vivere come se Dio non ci fosse o ad accontentarsi di una religiosità vaga, incapace di misurarsi con il problema della verità e con il dovere della coerenza? A ciò sono da collegare anche la diffusa perdita del senso trascendente dell'esistenza umana e lo smarrimento in campo etico, persino nei valori fondamentali del rispetto della vita e della famiglia. Una verifica si impone pure ai figli della Chiesa: quanto sono anch'essi toccati dall'atmosfera di secolarismo e relativismo etico? E quanta parte di responsabilità devono anch'essi riconoscere, di fronte alla dilagante irreligiosità, per non aver manifestato il genuino volto di Dio, a causa dei “difetti della propria vita religiosa, morale e sociale?”».

Aggiungeva san Giovanni Paolo II: «E quanto alla testimonianza della Chiesa nel nostro tempo, come non provare dolore per il mancato discernimento, diventato talvolta persino acquiescenza, di non pochi cristiani di fronte alla violazione di fondamentali diritti umani da parte di regimi totalitari? E non è forse da lamentare, tra le ombre del presente, la corresponsabilità di tanti cristiani in gravi forme di ingiustizia e di emarginazione sociale? C'è da chiedersi quanti, tra essi, conoscano a fondo e pratichino coerentemente le direttive della dottrina sociale della Chiesa».