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POLITICA

Se Gentiloni arriva fino alla fine della legislatura

Subito dopo il referendum costituzionale del dicembre scorso nessuno avrebbe scommesso su un nuovo governo in grado di durare fino alla fine della legislatura; oggi il quadro è profondamente cambiato. Sono successe tante cose. E tutte portano a un unico esito: tutti, tranne Renzi, hanno interesse a tornare al voto nel 2018.

Politica 23_01_2017
Gentiloni, Renzi e Mattarella

Subito dopo il referendum costituzionale del dicembre scorso nessuno avrebbe scommesso su un nuovo governo in grado di durare fino alla fine della legislatura; oggi il quadro è profondamente cambiato. Sono successe tante cose.

L’ex premier, al di là delle interviste e delle dichiarazioni di circostanza, non sembra aver compreso nel profondo le ragioni della sua cocente sconfitta nelle urne. E appare in affanno, timoroso di aver perso lo slot e di potersi far logorare per troppo tempo, senza un ruolo definito che non sia quello di segretario del Pd. La minoranza dem e la componente di sinistra che si raduna attorno a Laura Boldrini, Giuliano Pisapia e altri sono uscite ringalluzzite dal voto del 4 dicembre e chiedono tempo per organizzare le truppe in vista delle prossime politiche. Ma il tempo gioca a sfavore dell’ex sindaco di Firenze, che invece punterebbe sulla rivincita subito e, quindi, su elezioni anticipate. Inoltre, le circostanze sembrano dare una mano ai sostenitori di una legislatura che duri fino alla fine. Terremoti, disastri naturali, emergenze occupazionali, impegni internazionali dell’Italia, emergenza bancaria, salvataggio dei vitalizi dei parlamentari alla prima (e forse ultima) legislatura, necessità di riformare in modo equilibrato il sistema elettorale, sono solo alcune delle ragioni che spingono per una conclusione naturale della legislatura nel mese di febbraio 2018.

A fare il tifo per una prospettiva del genere sono in tanti, dagli anti-Renzi di sinistra a Berlusconi, dai presidenti delle Camere (come dimostrano le dichiarazioni del Presidente del Senato Grasso) al silente Presidente della Repubblica. Nessuno vuole andare alle elezioni, né prima né dopo l’estate. Si sta coagulando un ampio schieramento che ritiene indispensabile gestire e affrontare le priorità del Paese durante il 2017, anno in cui l’Italia sarà chiamata ad alcune delle sfide cruciali per il suo futuro. Senza contare che in Francia e Germania ci saranno rispettivamente le elezioni presidenziali e federali, destinate a incidere inevitabilmente sugli assetti e sugli equilibri anche nel nostro Paese. Una vittoria di Marine Le Pen in Francia e una sconfitta della Merkel in Germania aprirebbero nuovi scenari anche per il nostro Paese, oltre che per l’euro e per l’Europa unita e finirebbero per influenzare anche l’esito del voto in Italia.

C’è dunque da scommettere che ben difficilmente il Presidente Mattarella, prudente com’è, avallerà i disegni renziani di showdown e accetterà di sciogliere le Camere in anticipo. A meno che il Pd non decida di staccare la spina al governo Gentiloni, che peraltro è una fotocopia dell’esecutivo precedente.

L’attuale premier, sornione com’è, non si sta interrogando sul suo futuro e sulle prospettive del suo esecutivo, perché sotto sotto punta sulla stabilizzazione del quadro politico e ritiene che un moderato come lui possa, meglio di Renzi, interpretare quelle esigenze di moderazione e normalizzazione del quadro politico che difficilmente il suo predecessore potrebbe soddisfare.

Chi si è proposto e accreditato come rottamatore e ha puntato tutto sulla palingenesi degli assetti politico-istituzionali, senza però tradurla in pratica, ben difficilmente potrà diventare il presidente di un governo istituzionale che, quasi sicuramente, si renderà necessario dopo le prossime elezioni politiche.

Domani la Consulta si pronuncerà sull’Italicum, ma non è detto che il dispositivo del suo pronunciamento basti a fugare i dubbi e a determinare un sistema elettorale equilibrato e in grado di condurre il Paese a nuove elezioni. E’ possibile che si debbano attendere le motivazioni della sentenza, in febbraio. Detto questo, un sistema proporzionale, come quello auspicato da Berlusconi e da altre forze politiche, renderebbe necessario, quasi sicuramente, dopo le prossime elezioni, un governo di larghe intese. E a guidarlo, molto più di Renzi, potrebbe essere proprio lo stesso Gentiloni, che sta già dimostrando straordinarie doti di duttilità e mediazione. Dentro il Pd e anche al Quirinale, la figura dell’attuale premier viene vista come una figura di pacificazione e di equilibrio. Se la legislatura durasse fino alla sua fine naturale, sarebbe difficile sconfessare agli occhi degli elettori di centrosinistra un esecutivo guidato da un esponente Pd e presentarsi alle urne con un altro candidato premier. Renzi lo sa e sta cercando di azzoppare Gentiloni prima dell’estate. Ma tra i parlamentari Pd prevarrà la fedeltà al renzismo o l’amore per la cadrega?