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Fantagrammatica bis

Scevà, la vocale arcobaleno

Una linguista rilancia, anche a beneficio della comunità LGBT, una fantasiosa proposta: al posto delle vocali maschili e femminili introduciamo una vocale - la scevà - che suona neutra.

Gender Watch 05_09_2020

Continuiamo nel nostro viaggio, iniziato ieri, nella grammatica arcobaleno e domandiamoci: cosa fare quando ci si deve rivolgere contemporaneamente a maschi, femmine e a coloro che non si sentono né maschi né femmine? La sociolinguista Vera Gheno risponde così.

«Esiste un modo alternativo per rivolgersi a una moltitudine mista che magari comprenda anche persone non-binarie, ossia che non si identificano né con il maschile né con il femminile?

Lasciando da parte la questione ideologica, da linguista la domanda mi ha ovviamente incuriosita. Ho iniziato a chiedere in giro quali strategie fossero usate (per esempio in alcuni gruppi di attivisti LGBT+, ma non solo) e ne è venuto fuori un elenco molto interessante.[…] A chi obiettava che l’asterisco (car* tutt*) ponesse un problema di pronuncia, avevo ribattuto scherzosamente che si sarebbe potuto introdurre, invece dell’asterisco, l’uso dello schwa, che almeno ha un suono.

Per chi non lo conoscesse, lo schwa o scevà (nome italianizzato) è un simbolo dell’Alfabeto Fonetico Internazionale, o IPA, che è un alfabeto che permette di rappresentare per iscritto tutti i suoni presenti nelle varie lingue usate da noi esseri umani. Il simbolo dello schwa è una piccola e rovesciata, ə. Non lo si trova, di norma, nelle tastiere standard, ma nella mappa dei caratteri sì. Il suo è “un suono neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità” (ci dice Treccani); sta al centro del quadrilatero vocalico, cioè tra A, E, I, O, U, e, come dico spesso, corrisponde al suono che si emette se non si deforma in alcun modo la bocca, “a bocca rilassata”. Esiste naturalmente in diversi dialetti meridionali (/Nàpulə/). Per quanto io stessa ne veda i limiti fortissimi, ogni tanto, quando scrivo per contesti nei quali le questioni di genere sono particolarmente sentite, scrivo cose come “Carə tuttə”. Per inciso, non sono stata io a coniare la proposta: la questione risale a diversi anni fa».

Parrebbe corretto che si voglia usare un suono “di scarsa sonorità” anche per designare la liquidità sessuale: perché ciò che è liquido non è così definito e forte come ciò che è solido, ossia il sesso maschile e femminile (gli unici due sessi esistenti nella realtà. Gli altri “sessi” sono solo esistenti nelle menti di alcuni: “sessi” mentali e non fisici, reali). Un suono senza accento e tono per una identità senza accento e tono, verrebbe da aggiungere. Vogliono davvero questo gli attivisti LGBT?

Detto ciò è quasi banale aggiungere che il potere della lingua è fortissimo. Se modifichi il senso delle parole – ad esempio scegliendo un suono particolare presenti in alcune parole per designare il non sesso – modifichi la percezione della realtà. Così stanno le cose, carə tuttə.