Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL DECRETO

Sbloccare l'Italia dissanguando gli italiani

Il decreto Sblocca Italia promette di far ripartire cantieri e facilitare il lavoro a chi vuole costruire. Ma risponde sempre alla stessa logica dei governi precedenti: spendere di più per cercare di rilanciare l'economia. La stessa strada che ci ha ridotti in condizioni critiche, con un record di disoccupazione e i conti pubblici in rosso.

Editoriali 30_08_2014
Il cantiere della Napoli-Bari

Contestare un nuovo decreto comporta sempre un rischio: quello della critica qualunquista, della condanna a priori, del pessimismo a prescindere. Tuttavia è facile constatare che i tempi del decreto Salva Italia sono passati da 3 anni e l’Italia, lungi dall’essere “salva” ha ora battuto il record di disoccupazione (12,6%, rilevato ieri da Istat), il record di persone in povertà assoluta (quasi 5 milioni di italiani), il record del debito pubblico (132,6%) e il record di spesa pubblica annuale (sopra gli 800 miliardi di euro). Se anche la Spagna e la Grecia stanno mostrando segnali di ripresa, l’Italia è l’unico Paese, nella crisi dell’eurozona, ad essere in recessione anche quest’anno. Non è qualunquismo, ma lecita prudenza, frenare gli entusiasmi per ogni decreto che si proponga di salvare, in questo caso “sbloccare” l’Italia.

Il decreto Sblocca Italia, presentato ieri in Consiglio dei Ministri, è nato sotto i peggiori auspici. Mancato coperture per alcune delle grandi opere previste, indiscrezioni vogliono che il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, sia stato sonoramente “bacchettato” dal collega all’Economia Pier Carlo Padoan e dallo stesso premier Matteo Renzi. I tecnici avrebbero lavorato celermente per riscrivere ampie parti del decreto, che altrimenti sarebbe risultato insostenibile. Sarà vero o no? Qualunque sia la risposta, questa indiscrezione di corridoio dà perfettamente l’idea di cosa si stia parlando: un decreto fondato sulla spesa pubblica. Nelle anticipazioni per la stampa pubblicati il 28 agosto, i primi articoli del decreto riguardano proprio maggiori investimenti pubblici. Troviamo infatti il capitolo “cantieri e grandi opere”: 14 nuove grandi opere e altre 12 già avviate e da sbloccare, non solo con risorse già stanziate, ma anche con nuove risorse. In cima alla lista, confermate dalla conferenza stampa tenuta ieri dal ministro Lupi, ci sono le linee ferroviarie ad alta velocità Napoli-Bari e Palermo-Messina-Catania. È previsto lo stanziamento di 3,8 miliardi di euro per opere appaltabili subito e destinati a iniziare entro il 2015. Troviamo poi il capitolo “sblocca-dissesto”: altri soldi pubblici (almeno 1,15 miliardi di euro italiani e altrettanti in fondi europei) per interventi idrogeologici, bonifiche e messa in sicurezza di siti contaminati. Utilissimi, non lo si mette in dubbio, ma sono altri costi. Poi c’è la “spinta agli investimenti”, anche qui spesa pubblica pura: si prevede infatti il potenziamento della Cassa Depositi e Prestiti (ente statale all’80%) “a supporto dell’economia”. Gli investimenti pubblici nel privato ci hanno lasciato in eredità una lunghissima storia di favoritismi e fallimenti, ma ogni volta ce ne dimentichiamo. Il capitolo di spesa minore riguarda la promozione del Made in Italy all’estero: “appena” 220 milioni di euro in due anni. A procedere nella direzione inversa paiono solo capitoli minori del decreto. Troviamo semplificazioni di regole (il “pacchetto casa” per l’edilizia e il provvedimento “sblocca-burocrazia” per i cantieri), riduzione del numero di autorità (il “piano porti”), incentivi per la banda larga, alcune misure di spending review per le società partecipate e un incoraggiamento per gli enti locali a dismettere il demanio pubblico.

La spesa non è certamente campata per aria, qualcuno la deve pagare. Può essere finanziata a debito. Ma non si deve, perché si sforerebbero i parametri europei. Oppure può essere finanziata con nuove tasse. Ed è questa la strada percorsa, finora, dai governi Monti e Letta, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. In ogni caso, che si paghi subito (tasse) o dopo (debito) è sempre il contribuente a pagare. Quindi ogni cittadino italiano paga ora per quel che potrebbe ricevere in futuro, senza garanzia alcuna di riceverlo veramente. In compenso, pagando le tasse più alte d’Europa, ogni italiano è sempre meno in grado di spendere, investire, costruire, avviare nuove imprese. Un decreto “Sblocca Italia” fondato soprattutto sulla spesa pubblica rischia dunque di bloccare l’Italia ancor di più, come è sempre avvenuto con i governi precedenti. Nell’emergenza in cui ci troviamo, creata, sostanzialmente, dal gigantesco peso del settore pubblico sul privato, un decreto per sbloccare l’Italia dovrebbe essere fondato su tagli e privatizzazioni, semplificazioni e detassazioni. Giusto per rendere un’idea: ci sono 7500 aziende pubbliche (5258 delle quali nelle mani di enti locali) con il bilancio in rosso, come segnalava la Corte dei Conti per il 2013. Si tratta di un passivo di 26 miliardi di euro, non una cosa da poco. Il patrimonio pubblico inutilizzato, statale e soprattutto locale, ha un valore stimato dai 480 ai 720 miliardi di euro (e già il fatto che non esista una contabilità precisa e aggiornata in merito, ma solo stime, è già un brutto segnale). Si tratta di ricchezze letteralmente bloccate, congelate, inutilizzabili. Eppure la spending review viene rimandata dal governo Renzi, mentre lo stesso esecutivo si presenta con un decreto di nuove spese. È lecito essere ottimisti, ma non esageriamo.