Saviano per la libertà di stampa? Da che pulpito!
Roberto Saviano si erge a paladino della libertà di stampa, soprattutto contro il taglio ai finanziamenti ai giornali e a Radio Radicale in particolare. Ma è la persona meno indicata per ricoprire questo ruolo. Saviano dimentica che il primo beneficiario di questo clima qualunquista dell’informazione è proprio lui, libero di insultare chi vuole.
Nei giorni scorsi Roberto Saviano su Repubblica ha tuonato contro il governo Conte e l’idea di tagliare i fondi all’editoria. In particolare ha paventato il rischio che Radio Radicale possa chiudere proprio a causa di un provvedimento simile. Ha inoltre sostenuto che le politiche dell’attuale esecutivo in materia di media andrebbero contro la libertà di stampa perché rischierebbero di spegnere voci minori, lasciando campo libero ai giornali e alle Tv più referenziate e in auge.
In verità, le idee di questo governo nel campo della libertà di stampa non sembrano rassicuranti. Puntare sullo smantellamento dell’attuale meccanismo dei finanziamenti indiretti senza predisporre una modalità alternativa di sostegno dell’informazione come bene pubblico, di tutti, a prescindere da chi vinca le elezioni, appare rischioso, perché porta all’impoverimento del circuito mediatico.
Bene ha fatto il Movimento Cinque Stelle a porre sul tavolo il tema degli editori puri, delle commistioni tra potere politico e mondo dell’editoria. Giusto altresì superare in via definitiva il sistema dei finanziamenti a pioggia, che per decenni ha portato a sostenere con i soldi pubblici giornali faziosi, spesso irriguardosi nei confronti della deontologia giornalistica e poco apprezzati dal pubblico. Sbagliato, invece, dire che l’informazione prodotta soprattutto in Rete da avventurieri e dilettanti, senza alcuna competenza professionale e senza slancio etico-deontologico, possa essere equiparata a quella tradizionale. Errato pensare che un blogger possa avere la stessa affidabilità di un giornalista. Altresì fuorviante e devastante l’idea di premiare le start up editoriali, senza ancorare tale meccanismo al rispetto di determinati standard di qualità, attendibilità e veridicità dei contenuti veicolati. Ecco perché è fondamentale che le scelte strategiche in questo settore vengano condivise da tutti gli attori della filiera di produzione e distribuzione delle notizie. Facile tagliare fondi, difficile bilanciare misure del genere con altre idee innovative in grado di alimentare il bacino dell’informazione di qualità.
Per tutte queste ragioni Roberto Saviano non sembra la persona più indicata per dispensare ricette e rivolgere appelli per la libertà di stampa dalle colonne di un quotidiano. Si tratta peraltro di un quotidiano, Repubblica, che ha sempre assunto posizioni molto nette e decise, sia all’epoca dei governi Berlusconi che successivamente. Contro gli esecutivi guidati dal Cavaliere, in favore del governo Renzi, oggi contro la maggioranza giallo-verde, il giornale diretto da Mario Calabresi non è mai stato imparziale, anzi ha fatto del suo sbilanciamento pro o contro il governo un tratto caratteristico e ineliminabile della sua linea editoriale.
Le paternali di Saviano vengono ospitate spessissimo in prima pagina su Repubblica e in questo caso il contenuto del suo editoriale, tutto incentrato sull’esigenza di tutelare la libertà d’informazione, e condito con i consueti toni sprezzanti nei confronti degli avversari (in particolare Matteo Salvini, il quotidiano La Verità e in generale tutti quelli che non la pensano come lui), difende valori che, a detta dello scrittore, si sarebbero persi con questo governo. Come se tutti gli altri esecutivi precedenti avessero tutelato le voci “libere” come Radio Radicale, che «raccontano ai cittadini la vita interna al Palazzo», mentre quello attuale «le vuole cancellare».
Saviano dimentica o fa finta di dimenticare che il primo beneficiario di questo clima qualunquista che domina il mondo dell’informazione è lui, libero di insultare ogni giorno qualcuno, di attaccare tutti coloro che non si uniformano al suo pensiero, con la pretesa che il suo pensiero diventi il pensiero unico. In passato Saviano non si è certamente stracciato le vesti quando l’informazione appariva tutt’altro che libera, piegata ai grandi interessi, alle logiche dei cosiddetti poteri forti. Ora vuole accreditarsi come paladino di Radio Radicale e di medi e piccoli giornali, ritenendoli il sale della democrazia dell’informazione. Ma libertà di stampa non può voler dire sostenere alcune testate e non altre, non può voler dire infangare il nome degli avversari politici senza contraddittorio. La Corte Costituzionale, in alcune pregevoli sentenze che evidentemente Saviano non ha letto, ricorda che il diritto ad un’informazione corretta si nutre di pluralismo interno ed esterno, inteso come massima apertura possibile del mondo dei media alle opinioni di tutti e alla sana libera concorrenza tra operatori.
Lo Stato non deve dare soldi solo ad alcuni giornali o ad alcune testate, ma deve predisporre le condizioni affinchè il libero gioco democratico possa svolgersi anche con riferimento al bene pubblico “informazione”. Evidentemente però, per Saviano, sotto sotto, l’informazione dev’essere un bene privato.