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LITURGIA

Santi, il miracolo del quotidiano

Sicari: «Non lasciamoci impressionare dai fenomeni eccezionali. Parliamo di uomini e donne che ogni giorno hanno testimoniato Cristo risorto».

Attualità 01_11_2011
Santi della Chiesa

Anticipiamo qui sotto l'intervista ad Antonio Sicari a firma di Roberto Beretta in uscita sul numero di novembre del mensile di apologetica Il Timone.

Fare l’agiografia. Come modo di dire non è un gran complimento, visto che nel linguaggio comune significa cantare le glorie di qualcuno come se fosse senza difetti e comunque con scarso spirito critico... Eppure padre Antonio Sicari è riuscito nell’intento di essere agiografo senza perciò perdere la dignità e nemmeno la statura di studioso, anzi acquistando un’ottima fama come autore di vite dei santi (pubblicate da Jaca Book in una serie di successo giunta ormai al dodicesimo volume): oltre un centinaio di storie, da san Giuseppe al martire polacco padre Jerzy Popieluszko. Merito della capacità del sacerdote carmelitano nel ricostruire le vicende dei personaggi, certamente, ma anche di un chiarissimo quadro di riferimento teologico, che non dimentica mai quali siano le vere radici del culto dei santi.

Allora, padre: se già abbiamo la Trinità, Gesù Cristo e magari anche la Madonna, a che servono anche tutte queste aureole nel cattolicesimo?
La domanda suppone che i santi esistano perché noi li facciamo tali, ma invece non è affatto così: i santi esistono perché Dio ce li dona. I santi sono un regalo, un avvenimento del cristianesimo; noi dobbiamo accettarli, e semmai chiederci perché accade questo fenomeno.

E qual è la sua spiegazione in merito?
Ammettendo come prima cosa che c’è un solo santo, Dio e suo figlio Gesù, santo è tutto ciò che appartiene a Cristo. Santi sono i suoi doni, la sua parola, i sacramenti, e anche le persone che gli appartengono in modo particolare perché hanno vissuto con lui un rapporto speciale. La santità non è dunque frutto dell’eccellenza di alcune persone che si sono proposte di essere eroiche o di raggiungere certe vette ascetiche; ma è semplicemente essere cristiani (ricordo che all’inizio della Chiesa tutti i fedeli si chiamavano tra loro “i santi”), essere amici di Cristo, avere risposto alla sua grazia. È sempre qui che ha origine il valore della mediazione dei santi: tutte le strade tra terra e cielo si incrociano nella persona di Gesù e quindi tutti coloro che gli sono vicini possono esercitare in parte questa mediazione. Certo, poi a ciò si aggiunge il fatto che i santi in genere hanno dato grandi esempi o impartito insegnamenti importanti, hanno compiuto opere di carità e fondato istituzioni benefiche. Però il fondamento rimane lo stesso: essere santi significa conformarsi a Gesù, e il nostro culto dei santi è essenzialmente un tentativo per imparare ad essere come lui.

Dunque non è importante tanto lo “straordinario”, il miracolo, le stigmate, la manifestazione eccezionale...
Nella lettera Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II (anche lui un beato...) scriveva che il problema della pastorale cristiana è riportare tutto alla santità. Che non è – ripeto - la riuscita eccezionale, bensì una vita cristiana compiuta nella sua pienezza. Dire santo e dire uomo realizzato, per un cristiano dev’essere la stessa cosa. Ma, se tutti abbiamo questa vocazione (questo è il senso e l’origine della comunione dei santi), bisogna poi ammettere che esiste la particolare santità canonica, ovvero “regolata” secondo alcuni canoni, di coloro che vengono indicati dalla Chiesa come modelli o paradigmi perché possiamo imparare da loro; sul piedestallo dell’altare sta l’immagine di quello che io devo essere.

Ripeto: dunque i miracoli o le grazie non sono così fondamentali?
I fenomeni mistici come le visioni, le rivelazioni, le stigmate – cito il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2014) – sono grazie straordinarie date ad alcuni con lo scopo di rendere manifesto il dono fatto a tutti. I miracoli hanno il compito di portare in superficie quello che è per tutti, così come le rivelazioni sono la manifestazione di ciò che è detto per tutti. Le stigmate? Sono un segno dell’amore di Dio che si imprime talmente nella persona fino a risalire alla pelle del suo essere; e Dio le concede per mostrare che si può amarlo a tal punto che le sofferenze di Cristo si stampano sul corpo di un uomo. Certo, per molte persone questi aspetti meravigliosi sono sorprendenti, curiosi, e per qualcuno costituiscono un elemento di attrazione un po’ magica; ma in realtà i miracoli Dio li fa come e quando vuole e anche chi guarisce prodigiosamente poi torna ad ammalarsi e muore... Voglio dire che ancora una volta il miracolo è uno solo: la resurrezione di Cristo. Dio può decidere che qualcosa di quella resurrezione venga anticipato in modo misterioso in un fatto o in una persona particolare, ma sempre perché si ponga in risalto il significato di Cristo risorto.

Non possiamo però dire che questa sia l’interpretazione corrente nella devozione popolare, o anche nella catechesi...
Questo è un guaio. Dovremmo essere capaci di affrontare ogni frammento nel tutto che da essi è composto; sennò ciascuno si innamora del suo pezzettino e pensa che sia la totalità. Come diceva il teologo Hans Urs von Balthasar: dobbiamo imparare a guardare la totalità del disegno di Dio, solo allora i frammenti diventano preziosi, altrimenti rimangono distraenti. Tutto va messo in questo rapporto, nella pastorale come nella catechesi; non sempre con la gente si può fare teologia, d’accordo, ma si deve cercare di ricondurre ogni cosa al suo senso profondo. Per esempio, si può parlare della liquefazione del sangue di san Gennaro, discuterne con argomenti scientifici o religiosi, però il suo unico senso è dire che quell’uomo ha dato il sangue per Cristo; punto e basta. Diceva ancora von Balthasar: i santi sono fessure aperte su Dio.

Ci dia però qualche consiglio pratico.
Anzitutto, nel ritratto dei santi cerchiamo di esaminare con cura la storia personale, l’ambiente, la cultura, per scoprire che cosa Dio davvero chiedeva a quell’uomo o a quella donna e vedere qual è stata la risposta. Non si deve affermare niente che non rimandi alla persona di Gesù. Non bisogna impadronirsi di nulla che non aiuti a dire: ciò che importa è Cristo. È come un innamoramento: nell’ambito di questo attaccamento tra persone, ogni cosa e il mondo stesso acquistano nuovo significato. Poi non lasciamoci troppo impressionare dai fenomeni eccezionali: come diceva Chesterton, anche Dio qualche volta può aver voglia di divertirsi, magari facendo qualcosa che fatichiamo a comprendere...