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LA MEMORIA

Santa Cecilia e la musica come costruttrice di comunità

Il ricordo di santa Cecilia ci richiama al fatto che la musica ci plasma come esseri umani, come cittadini, come cattolici.

Cultura 22_11_2021

La festa di santa Cecilia ci richiama ancora una volta al comprendere il valore comunitario della musica. Una musica buona rafforza in senso positivo i legami sociali mentre una musica non buona li rafforza in senso negativo. Ho spesso raccontato un fatto come esempio. Quando ero professore a Macao diedi ai miei studenti universitari un tema, di spiegarmi la loro canzone preferita. Alcuni mi intrattenerono su gruppi e canzoni a me onestamente sconosciuti, ma quello che mi colpì fu il fatto che i miei studenti prediligevano brani che quasi incitavano al suicidio. Erano una minoranza di studenti, ma mi colpiva come anche solo alcuni di essi si riconoscessero in un uso della musica che non è certo da raccomandare. Ma, come ho detto tante volte, proprio gli antenati cinesi di quegli studenti, come i greci, avevano ben capito la forza edificatrice e distruttrice della musica, che usavano anche per curare certi malanni. Del resto anche nella Bibbia (1Samuele 16, 23) abbiamo testimonianza di questo, quando si parla di Davide e del re Saul: “Quando dunque lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui”. Eppure questa lezione della saggezza tradizionale sembra averci abbandonato.

Il ricordo di santa Cecilia ci richiama al fatto che la musica ci plasma come esseri umani, cime cittadini, come cattolici. Parlando di chi fa musica nel suo libro Il cervello musicale, lo studioso Daniel Schön ha detto: “Le neuroscienze sociali sono in pieno sviluppo, anche grazie alla scoperta dei neuroni specchio e il ruolo che hanno giocato nello studio dell’empatia. Il contributo delle neuroscienze della musica in quest’ambito complesso è solo all’inizio, ma i primi risultati mostrano come dei musicisti che suonano assieme riescono a farlo grazie al fatto che la loro attività cerebrale si sincronizza. Ossia i gesti ed i suoni condivisi impongono una struttura simile nei cervelli dei diversi musicisti, e quanto più le attività cerebrali si assomigliano, tanto più i musicisti riusciranno a suonare bene assieme”. Se è vero per chi fa musica lo è anche per chi ascolta, la musica plasma la comunità. Ecco perché una malsana idea di riforma liturgica è andata a toccare il canto gregoriano, quel repertorio che con così grande sapienza si sposa alla liturgia quasi formando una sola cosa. Tolto di mezzo questo repertorio si pensava di imporre una nuova forma mentis comunitaria nella liturgia, forma mentis che si è imposta ma che risuona sempre più nel vuoto delle nostre chiese.

Ecco perché le nazioni hanno gli inni nazionali, ecco perché la Chiesa ha sempre tradizionalmente messo molta cura nella musica nella liturgia, cercando di donare al popolo quello che di più alto la comunità aveva prodotto, non un fallimentare minimo comun denominatore. Ma non ci inganniamo, questa è una strada che ci porta verso un baratro e come ci viene ripetuto costantemente per la cosiddetta questione del clima, anche qui manca un minuto alla mezzanotte.