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TERRORISMO

Sangue e shari'a nel Natale nigeriano

Boko Haram, gruppo terrorista islamico legato ad Al Qaeda, per
la seconda volta fa strage di cristiani
nel giorno della natività di Gesù.

Attualità 28_12_2011
Nigeria ok Per la seconda volta Boko Haram, il gruppo terrorista islamico legato ad al Qaeda che dal 2002 si batte per imporre in tutta la Nigeria la legge coranica, ha fatto strage di cristiani nel giorno di Natale e in quelli precedenti compiendo una serie di attentati. Lo scorso anno le sue vittime erano state 41 e quasi 100 i feriti. Il bilancio di quest’anno purtroppo è molto più grave: almeno 110 morti e la cifra potrebbe salire perché numerosi sono anche i feriti gravi. Inoltre lo scorso anno gli attentati erano stati compiuti nel nord islamico, a Maiduguri, roccaforte del movimento e capitale dello stato settentrionale di Borno, e a Jos, capitale dello stato di Plateau, uno degli stati centrali spesso teatro di scontri etnici e religiosi in ragione della coesistenza di etnie tradizionalmente antagoniste.

Quest’anno uno degli attentati è stato invece messo a segno addirittura nella capitale Abuja dove un’autobomba ha devastato la chiesa cattolica di Santa Teresa uccidendo 35 persone e ferendone oltre 50. Si confermano così l’espansione e il radicamento del movimento che per anni ha limitato il proprio raggio d’azione al nord del paese. Un anno fa, a Capodanno, una bomba era esplosa nel Mammy Market di Abuja, un affollato mercato vicino a una caserma militare, provocando quattro vittime. Lo scorso giugno un attentato suicida ha colpito il quartier generale della polizia sempre nella capitale uccidendo tre persone. Da allora si è fatta strada la certezza che Boko Haram sia riuscito a infiltrarsi nei ranghi delle forze dell’ordine e a ottenere il sostegno di leader politici islamici influenti. A luglio, a dimostrarlo, un ordigno esplosivo è stato piazzato all’esterno di una chiesa protestante, a pochi chilometri dal centro cittadino, causando tre vittime. Poi un kamikaze a bordo di un auto ad agosto ha parzialmente distrutto la sede delle Nazioni Unite di Abuja uccidendo 18 persone e ferendone 70.

Nel frattempo nel nord le azioni terroristiche di Boko Haram hanno assunto frequenza
quasi quotidiana provocando uno stillicidio di morti che a fine anno si contano ormai a centinaia.

L’attività  del movimento si colloca poi in un contesto nazionale caratterizzato da una persistente
conflittualità tribale che vede contrapposte le etnie del nord, tradizionalmente dedite alla pastorizia e da secoli convertite all’Islam, a quelle meridionali, contadine e in gran parte di fede cristiana. Scontri tribali devastano periodicamente i quartieri delle città nigeriane del centro e del nord allorché delle comunità etniche rivali si affrontano per disputarsi attività economiche e cariche politiche. Nelle campagne bande di giovani compiono stragi per razziare bestiame e altri beni ai vicini di altre etnie che per ritorsione, al loro volta, organizzano vendette cruente massacrando i nemici senza risparmiare donne e bambini.

In un caso e nell’altro – contro Boko Haram e contro il tribalismo – le azioni repressive tentate
dal governo centrale non bastano. La Nigeria paga con la conflittualità e con la violenza endemiche decenni di malgoverno che hanno prosciugato le risorse nazionali, costringendo una generazione dopo l’altra di giovani a vivere di espedienti, senza lavoro e senza futuro. L’84% dei nigeriani vive con meno di 2 dollari al giorno e oltre il 64% con meno di 1,25 dollari (la soglia della povertà) in un paese che da decenni è il primo produttore di petrolio del continente africano e che potrebbe essere uno dei più ricchi e potenti del mondo, potendo inoltre contare su una popolazione di 160 milioni di abitanti in prevalenza giovani e in età lavorativa. Ma dal 1960, anno dell’indipendenza, la corruzione ha sottratto ai fondi pubblici qualcosa come 400 miliardi di dollari. L’ultimo dei dittatori nigeriani, Sani Abacha, in soli cinque anni – dal 1993, quando prese il potere con un colpo di stato, al 1998, anno della sua morte – ha stornato dalle casse statali 2,2 miliardi di dollari, secondo alcune stime il doppio.

I leader politici del nord islamico – più povero ancora del sud dove si concentrano i giacimenti di petrolio che costituiscono la maggiore ricchezza del paese – attribuiscono la colpa di questo stato di cose ai cristiani degli stati meridionali della federazione: invece di contrastare tribalismo e intolleranza religiosa, li alimentano per conquistare fiducia e consenso elettorale.

Si capisce come mai tensioni e violenze etniche e religiose siano aumentate nettamente da quando ad aprile le elezioni presidenziali sono state vinte da Goodluck Jonathan, un leader di religione cattolica originario del Delta del Niger, che ha sconfitto il candidato islamico del nord, Muhammadu Buhari.

Il presidente Jonathan ha promesso un radicale cambiamento di rotta con il varo di un programma
energetico da 10 miliardi di dollari che prevede la costruzione di nuovi centri di raffinazione. L’obiettivo è smettere di acquistare costosa energia dall’estero e consentire al governo di investire in infrastrutture e servizi. Ne deriveranno opportunità di lavoro e migliori condizioni di vita per milioni di cittadini, promette il capo dello stato. Sempre con le stesse intenzioni, a partire dal 1° gennaio del 2012 il governo, nonostante il parere contrario espresso dal parlamento, ha deciso di abolire i sussidi statali che permettono di tenere bassi i prezzi dei prodotti petroliferi. Lo stato risparmierà quasi sei miliardi di euro all’anno che verranno investiti in progetti sociali e in infrastrutture per lo sviluppo. Ma nell’immediato l’onere sui cittadini sarà enorme. Si prevedono rincari di benzina, di cherosene e di gasolio, usati dall’80% della popolazione per cucinare, dal 200 al 300%: insostenibili e intollerabili, tanto più che alle promesse del governo pochi sono disposti a credere.