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Sanchez come i comunisti vuole usare la disinformacija sui media

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Il vizietto della censura degli avversari politici e dei dissidenti non pare abbia abbandonato gli eredi dei comunisti. Dopo l'Australia tocca ora alla Spagna che vara un registro dei mass media per monitorare non solo gli azionisti della proprietà editoriale, ma anche il pubblico, le fonti di finanziamento e la pubblicità istituzionale.

Esteri 21_09_2024

Il vizietto della censura degli avversari politici e dei dissidenti non pare abbia abbandonato gli eredi dei comunisti del secolo scorso, ora necessariamente socialisti e democratici ma sempre difensori del bene del popolo. Così il governo socialista spagnolo - la scorsa settimana era toccato al governo socialista (laburista) australiano - ha svelato i suoi piani per “regolamentare” la stampa nel combattere la cosiddetta "disinformazione" di avversari politici, ambienti conservatori, associazioni pro-life e pro-family e chiunque metta solo in dubbio le notizie ufficiali del governo e del partito.

Val la pena ricordare che la “disinformacija” era stata elevata, nell’URSS comunista, a ruolo di vera e propria scienza o, meglio, di tecnica con cui disorientare l’antagonista, metterne in crisi le certezze, indebolirne la determinazione. E distruggerne, ovviamente, l’immagine. Ora, con il ribaltamento tattico dei nipoti di Lenin e Marx, accusa di disinformazione pericolosa l’avversario e, oltre alla censura, lo si discredita per distruggerne l’affidabilità.

Ebbene il “Piano d'Azione Democratica” approvato dall’esecutivo di Sanchez il 17 settembre, creerà un registro dei mass media che operano in Spagna. Tale registro consentirà al governo di monitorare non solo gli azionisti della proprietà editoriale dei mass media, ma anche il pubblico degli abbonati, le fonti di finanziamento e la pubblicità istituzionale.

L'esecutivo vuole creare un registro dei media quando, in realtà, il suo obiettivo è piuttosto l’opposto, ovvero dichiarare tutti i mass media che non saranno classificati all’interno del registro statale come peudo-media, da controllare strettamente e ai quali nessun tipo di vantaggio pubblicitario o tariffa speciale statale potrà essere applicata. Perché tutti coloro che non sono in quel registro saranno sulla lista nera degli pseudo-media. «Siamo di fronte alla disinformazione e alla macchina del fango. Una democrazia che è assediata da queste campagne di disinformazione e bufale, pressioni sui giornalisti, corruzione di alcuni che tutti abbiamo in mente», ha detto lo stesso Sánchez presentando le nuove norme davanti ai plaudenti deputati e senatori Socialisti.

Nel dibattito parlamentare di mercoledì 18 settembre, il leader della opposizione Popolare e vincitore delle elezioni, Alberto Núñez Feijóo, ha accusato Sánchez di avere una «concezione del potere da repubblica delle banane…che usa censura e persecuzione» ancor peggio del generale Franco. La proposta di Sanchez, al di là dello scandalo dei finanziamenti e compensi esorbitanti tra l’Università Complutense di Madrid e la moglie Begoña Gómez, è stata rilanciata a pochi giorni dal rientro del viaggio dalla Cina comunista che si era svolto dal 9 all’11 settembre. Certo la Spagna non diventerà la Cina, ma quando c’è in discussione la libertà di parola e manifestazione è meglio stare molto attenti, una volta aperta la porta alla eccezionale censura, ogni aspetto della vita ordinaria che sia indigesto al potere potrebbe a sua volta esser sottoposto a divieto.

Cina o meno, il socialista Sanchez avrà certamente assunto ad esempio la proposta del governo Laburista (socialista) australiano che, al pari di quello del compagno Lula da Silva in Brasile, vuole sottoporre a controllo e censura i mass media e social media che sino ad oggi consentono alle persone di presentare proprie opinioni, raccontare fatti, aggregare e coinvolgere i cittadini.

Giovedì 12 settembre il governo australiano ha presentato le nuove proposte di legge contro la disinformazione online, definite come un «assalto agghiacciante» alla libertà di parola degli australiani, perché potrebbero portare alla censura e punizione di «qualsiasi differenza di opinione», rispetto a quella stabilita dall’esecutivo. Il ministro delle Comunicazioni Michelle Rowland, nel presentare le proposte ha usato gli stessi termini dei colleghi spagnoli: la disinformazione rappresenta una «seria minaccia» per la «sicurezza e il benessere» dell'Australia, nonché per «la nostra democrazia, società ed economia».

La proposta del governo laburista guidato dal Primo Ministro Antony Albanese, che aveva lo scorso anno già dovuto ritirare una proposta altrettanto draconiana, ha trovato la ferma e preoccupata opposizione di molti: l'"Institute of Public Affairs" come «il più grande attacco alla libertà di parola nella storia dell'Australia in tempo di pace»; la “Free Speech Union of Australia” come un «attacco alle nostre libertà». Anche stavolta, le nuove norme autorizzerebbero l'Australian Communications and Media Authority (ACMA) a imporre multe importanti alle piattaforme di social media che non riescono a reprimere adeguatamente la disinformazione sulle loro piattaforme, la stessa ACMA, nominata dal governo, stabilirà nuovi codici di settore per affrontare la disinformazione e per stabilire standard di regolamentazione, saranno censurati solo i contenuti «che sono verificabili come falsi, fuorvianti o ingannevoli e ragionevolmente suscettibili di causare o contribuire a gravi danni».

La nuova definizione di "danno grave" è stata ampliata e potrebbe potenzialmente catturare qualsiasi differenza di opinione e anche la verità su un fatto potrebbe essere censurata. Se un cittadino dovesse diffondere informazioni che sono di fatto vere, ma l'ACMA o un verificatore di fatti (fact-checker delegato) le classificassero come 'fuorvianti' o 'ingannevoli', allora sarebbero censurate e punite. Il socialismo moderno segue le antiche tradizioni del secolo scorso, può cambiare il tipo di bavaglio ma in ogni caso i dissidenti devono esser messi a tacere per i bene del popolo.