San Vittore, le carcerate lavorano con la speranza
Il progetto "Casina" rilancia l'arte come lavoro comune. E così anche la prigione assume un volto umano.
Una galleria d’arte milanese ha recentemente presentato al pubblico il progetto “Casina”, assieme ad una selezione di opere frutto di un lavoro comune. Quale? Quello delle carcerate della sezione femminile di san Vittore, a Milano.
Avviato nel 1991 e formatosi come associazione nel 2006, il progetto è partito da un gruppo di artisti e intellettuali di diverse provenienze che hanno creato uno spazio “libero” per le detenute del carcere milanese che si ritrovano a turno per qualche ora al sabato pomeriggio, senza distinzioni di ruolo tra promotori e partecipanti.
Documenta tutto un video, finanziato dal ministero di Grazia e di Giustizia, e girato dalle stesse detenute. Vi si vedono belle facce inquadrate in primo piano di un gruppo di donne di cui non conosciamo la storia passata ma soltanto la dura realtà di una vita dietro le sbarre. Sono Anna, Carla, Patrizia, Antonella, Francesca. Si agitano, parlano, scherzano in allegria ma non mancano momenti seri nei quali si fermano anche a riflettere in amicizia sui loro problemi in comune, su progetti e fantasie di quando usciranno di lì.
Dal clima conviviale sono nate le opere collettive messe in mostra e incentrate sul Cenacolo di Leonardo Da Vinci, nonché i lavori grafici compiuti assieme sull’uomo di Leonardo e sulla Madonna della Misericordia di Piero della Francesca. Ai laboratori partecipa anche uno storico dell’arte, Giorgio Zanchetti. Si lavora molto sull’identità femminile e tante idee sono nate da un workshop di scrittura creativa, tenutosi in biblioteca con Laura Lepetit.
Ma, sempre dando retta alla sorprendente spontaneità del video, molto successo ha riscontrato .o studio di cucina coordinato da Lorena Calegari. Le ospiti vengono filmate mentre sono alle prese con i fornelli per preparare torte, pasticcini, paste: inventano mousse e con le creme intrecciano ghirigori. L’atmosfera allegra e spensierata appare contagiosa. Ciascuna ha un suo sapere da trasmettere alle altre, le ore passano liete e senza pensieri.
Segue la scena del picnic all’aperto in un angolo senza tempo con pergolato e sedili di pietra, tra altissime mura. Gli agenti non inquadrati sorvegliano la scena. Ma nel gruppetto l’aria è leggera, volano i brindisi. È lo “Spazio Madre” cosi chiamato dai promotori, il libero convivio creatosi tra queste donne che in attesa di espiare la loro pena rivelano tutta la loro umanità e forza interiore.
Dall’esperienza e con lo stesso titolo (“Spazio Madre”) è nato anche un libro.