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L’OPERA DELL’AQUINATE

San Tommaso e il Vangelo di Giovanni, un commento che illumina

Nel suo poderoso commento al quarto Vangelo, pubblicato in due volumi grazie a una nuova iniziativa editoriale, san Tommaso d’Aquino sottolinea che «Giovanni insiste sulla Divinità di Cristo senza per questo tralasciare i misteri della sua umanità». Questo perché Gesù Cristo è «Via secondo la sua umanità ed è termine secondo la sua divinità».

Cultura 04_02_2020

“La sua contemplazione è perfetta; poiché tale atto è perfetto quando colui che contempla viene sollevato fino all’altezza della realtà contemplata. Ora, siccome Giovanni insegnò non solo che il Cristo Gesù, Verbo di Dio, è Dio elevato al di sopra di ogni essere, e che per mezzo di Lui tutto è stato creato, ma altresì che siamo stati santificati per mezzo di Lui e che a Lui aderiamo mediante la grazia che Egli ci infonde, è evidente che la sua contemplazione è perfetta”. In queste parole di san Tommaso d’Aquino è racchiuso il cuore del suo poderoso commento al Vangelo secondo Giovanni (2019, due volumi, oltre 3000 pagine complessive, vedi qui e qui), pubblicato ora nella pregevole collana “I Talenti” delle Edizioni Studio Domenicano e delle Edizioni San Clemente con testo latino a fronte, grazie al paziente e accurato lavoro di traduzione dei domenicani Tito Sante Centi e Roberto Coggi.

In tale commento Tommaso rielabora le citazioni dei vari autori, spesso senza menzionarne esplicitamente le fonti, a differenza dell’altro suo monumentale commento ai Vangeli, noto come Catena Aurea, nel quale invece le auctoritates dei Padri della Chiesa sono riprese testualmente. Secondo Tolomeo di Lucca, che ne catalogò le opere, l’Aquinate avrebbe scritto di suo pugno solo il commento ai primi cinque capitoli, mentre il resto sarebbe frutto di una fedele trasposizione da parte del segretario fra’ Reginaldo degli appunti delle sue lezioni, naturalmente rivisti dal maestro prima di essere pubblicati.

Il fascino intellettuale, spirituale e mistico del Vangelo di Giovanni costituisce una miniera inesauribile di tesori per la ragione acuta, illuminata dalla grazia, di Tommaso. Quella dell’Aquinate, però, non vuole essere un’esegesi storico-critica, bensì una reinterpretazione esistenziale del testo giovanneo inteso quale Parola ispirata capace di generare ancora vita di fede in colui che l’accoglie nella propria esistenza di ogni giorno. D’altra parte “mentre gli altri evangelisti trattano principalmente dell’umanità di Cristo, Giovanni insiste sulla Divinità di Cristo senza per questo tralasciare i misteri della sua umanità”, sottolinea il Doctor Angelicus.

Giovanni, simboleggiato dall’aquila “perché volle fissare con gli occhi acutissimi dell’anima la luce della verità immutabile”, insegna a Tommaso che è per mezzo dell’umanità di Cristo che bisogna tendere a Dio. Gesù Cristo è “Via secondo la sua umanità ed è termine secondo la sua divinità”. Nel tentativo di immergersi con l’evangelista nelle profondità del mistero del Verbo divino, Tommaso - che al solo commento del Prologo (Gv 1) dedica circa 250 pagine, focalizzando la propria riflessione su ciascuna parola - scrive: “Siccome Dio con un solo atto, mediante la sua essenza, conosce sé stesso e tutto ciò che egli sa, l’unico Verbo divino esprime tutto quello che è in Dio: non solo per quanto riguarda le Persone divine, ma anche per quanto riguarda le creature; altrimenti sarebbe imperfetto”.

Particolarmente significativa è anche la sua puntualizzazione sulla traduzione latina di Logos con “Verbum e non con “ratio”. A tal proposito l’Aquinate precisa che, a differenza del termine ratio che allude solo “al concepire della nostra mente quale fatto mentale”, Verbum “invece indica pure l’espressione esteriore”, e dunque implica “un riferimento a cose esterne”, ossia alle realtà create che mediante tale Parola divina sono fatte esistere.

Il Verbo di Dio è la “luce vera” (Gv 1, 9), cioè “la luce per essenza”; dunque, né quella di cui partecipano le creature, né quella “falsa che i filosofi si vantano di possedere”. Di qui, a quanti l’accolgono è stato dato “il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12), ossia “il potere proprio della grazia per l’acquisto della perfezione delle opere e il conseguimento della gloria”.

Relativamente al miracolo di Gesù alle nozze di Cana, Tommaso rileva “la pietà e la misericordia della Madre nel considerare il bisogno altrui come proprio” quando venne a mancare il vino; “la riverenza verso Cristo e la sua sollecitudine e diligenza” nel non attendere che “il bisogno fosse estremo”, rimettendosi “al modo di agire proprio di Dio”.

Tra i numerosi spunti di riflessione che offre il suo commento al capitolo 6 di Giovanni sul discorso di Gesù quale “pane di vita”, Tommaso sottolinea che “come l’uomo Cristo riceve la vita spirituale dall’unione con Dio, così anche noi riceviamo la vita spirituale nella comunione del sacramento”, poiché l’anima vive nella misura in cui aderisce al Verbo di Dio. Cristo è infatti la Via, nella misura in cui “è il fine a cui aspira la vita dell’uomo; e l’uomo desidera soprattutto due cose: primo, la conoscenza della verità, che è una sua prerogativa; secondo, il prolungamento della propria esistenza”. In tal senso, il Signore è allora anche la Verità e la Vita.

Perciò, se da un lato “un bene creato non acquieta perfettamente il desiderio e la brama dell’uomo e dunque non è possibile avere una gioia piena”, dall’altro invece “la nostra gioia sarà piena quando possederemo il bene nel quale si trovano in maniera sovrabbondante tutti i beni che possiamo desiderare. E questo bene è soltanto Dio, il quale riempie di beni il nostro desiderio”. A tale desiderio del cuore umano viene incontro il desiderio profondo di Cristo stesso morente sulla croce che, nell’espressione “Ho sete” (Gv 19, 28), grida e testimonia pienamente il proprio “ardente desiderio della salvezza del genere umano”.