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PROCESSIONE SANZIONATA

San Marco in Lamis, cos'è giusto? Obbedire a Dio o agli uomini

Nel Nuovo Corso della Chiesa la salute del corpo è più importante di quella dell’anima, perciò il parroco incriminato per la processione a San Marco in Lamis ha dovuto scusarsi, ben sapendo che né il suo vescovo né gli altri presuli lo avrebbero difeso. Ai quali verrebbe da chiedere: perché non cambiate "mestiere"?

Ecclesia 14_04_2020

Davvero spezzava il cuore, l’altra sera, vedere il parroco di San Marco in Lamis che quasi piangeva dal rammarico di fronte al giornalista del tiggì subito precipitatosi in loco e presto imitato dai colleghi di altre testate. Immagino la scena in redazione: il direttore che abbaia «c’è la notizia!» e più veloci di Flash impavidi inviati si fiondano a martoriare l’incauto. Incredibile! I processionari hanno osato infrangere i divieti del Conte per andare a omaggiare il Re dei Re, non sapendo che in democrazia le gerarchie sono invertite: comandano i parvenu e i rappresentanti di Dio obbediscono; se sgarrano, ecco la Procura di Foggia scagliarsi sui reprobi.

Riassunto: a San Marco in Lamis, cittadina nota (agli addetti ai lavori) per aver dato i natali al direttore spirituale di Padre Pio, il Venerdì Santo si è svolta la processione annuale dietro alla Croce, con la sola differenza che, questa volta, i fedeli erano pochi, ben distanziati e qualcuno con la mascherina sul volto. Come si è visto benissimo nei summentovati tiggì. E’ quello che fanno tutti gli italiani, e non solo, quando vanno al supermercato.

Ma nella testa dei c.d. laici il supermercato è necessario per vivere, la processione no. E nemmeno la Messa, e nemmeno una visita al Santissimo. Nel Neue Kurs della Chiesa la salute del corpo è più importante di quella dell’anima, perciò il parroco incriminato ha dovuto scusarsi, ben sapendo che né il suo vescovo né gli altri presuli lo avrebbero difeso. Anzi, gli avrebbero dato addosso per averli infastiditi dovendo smarcarsi dal nugolo di c.d. giornalisti che li subissavano di telefonate e richieste di interviste.

Personalmente, prima delle elezioni, fui intervistato per strada da una specie di cialtrone col microfono in mano: le sue domande erano così incalzanti, così cretine, così tese a mettermi in bocca parole che non intendevo pronunciare, che dovetti mandarlo a quel paese in malo modo. Triste modo di guadagnarsi il pane, eppure così ambito da caterve di giovani ingenui e disinformati.

La processione in San Marco in Lamis era stata concordata col sindaco, e pure lui è stato costretto a chiedere perdono in diretta. Bah, almeno, lui, lo ha fatto con voce chiara e forte. Invece il parroco muoveva a pietà: voce esile, sguardo basso, spalle rattrappite, pareva sul punto di scoppiare in lacrime. Eppure, in questo schizofrenico Nuovo Corso ecclesiale (la messa di Pasqua in latino e greco!), lo stesso papa Francesco aveva raccomandato ai preti di non fare i donabbondi, cioè di avere coraggio.

Diceva C. S. Lewis che il coraggio non è una virtù tra le altre, ma è la «forma» di tutte le virtù. Cioè, per esercitare qualunque virtù ci vuole, prima, il coraggio. Ricordo un battibecco tra due medici specialisti, uno che chiudeva il telefono nel weekend e l’altro che lo lasciava aperto per i suoi pazienti. Il secondo rimproverava il primo: ma allora perché hai fatto il medico?

La stessa cosa si può dire al clero: se non vuoi noie, perché non cambi mestiere? Mestiere, già. Agghiaccio all’idea di un clero sposato: forse risolverà il problema amazzonico, ma di certo riempirà la categoria di disoccupati (e, com’è noto, ce ne sono tanti) che troveranno ristoro al loro essere a spasso, visto che possono sposare la fidanzata e avere la casa gratis. Il procuratore di Foggia si sentirà rispondere, come san Pietro: «Giudichi lei se è più giusto obbedire a Dio o agli uomini»? Così faceva il vescovo di Münster von Galen, che aveva di fronte il nazismo, mica Di Maio: si ricordava della parola del suo Capo: «Chi si vergognerà di me davanti agli uomini…».

Consigliamo la visione de Il compagno don Camillo, in cui il protagonista, nella Russia sovietica, spintona un pope che, per paura, si era nascosto e non andava a confessare una moribonda.