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La figura

San Gaspare Bertoni, il predicatore della Passione di Cristo

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Fondatore degli Stimmatini, si dedicò con amore alla predicazione, in particolare sul tema della Passione di Nostro Signore. Lui stesso la visse eroicamente sul proprio corpo, subendo quasi trecento operazioni alla gamba destra.

Ecclesia 12_06_2024

«Egli appartiene a quella schiera di santi, di beati, di servi di Dio, che prodigiosamente si sviluppò in terra veneta all’inizio del secolo scorso, in mezzo a gravissime vicende di guerre, devastazioni e povertà. Consapevole, come altre anime elette di quell’epoca, che si stava scrivendo una nuova pagina di storia e che era in formazione una nuova cultura, si prodigò per una rinnovata evangelizzazione tra il popolo. Egli era convinto che la predicazione è chiamata ad affrontare contesti storici sempre diversi ed esige, in situazioni di conflittualità e di contrasto, sempre nuove riflessioni». Queste parole furono pronunciate da san Giovanni Paolo II durante l’omelia di canonizzazione di Gaspare Bertoni (1777-1853), fondatore della Congregazione delle Sacre Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo e del quale oggi ricorre la memoria liturgica. Era l’1 novembre del 1989, festa di Tutti i Santi. Il papa polacco evidenziava in questo breve ritratto un carattere fondamentale della personalità di san Gaspare Bertoni: la predicazione.

Ed è proprio a questa che il santo veneto si dedicò con amore e dedizione assoluta durante la sua esistenza terrena. Un uomo che fece della divulgazione della Parola il fine della sua vita e del suo ministero sacerdotale. Bertoni era nato e cresciuto in una Verona che stava vivendo tempi oscuri: era divenuta, infatti, teatro di continue lotte tra la Francia e l’Austria che si contendevano il territorio veneto. Ma oltre a queste lotte politiche è importante evidenziare la condizione sociale in cui si trovava il suo popolo: fame e povertà dilagavano; la gioventù appariva disorientata; inoltre, ad aggravare il già triste scenario, le condizioni sanitarie negli ospedali erano pessime. Fu in questo contesto così drammatico – ci troviamo agli inizi dell’Ottocento – che si trovò a predicare il giovane sacerdote, ordinato a 23 anni non ancora compiuti. Una vita, la sua, colma di incarichi delicati e importanti. Nel 1802, presso la parrocchia di San Paolo a Verona, fondò il suo primo oratorio per i giovani con una scuola gratuita. Lo denominò “Coorte mariana”, ponendo l’oratorio sotto la protezione della Vergine Maria. Nel 1808 si dedicò, poi, alla direzione spirituale della neonata congregazione delle Figlie della Carità, fondata da santa Maddalena di Canossa; successivamente, nel 1810, divenne direttore spirituale per i futuri sacerdoti che studiavano nel Seminario di Verona.

In tutto questo susseguirsi di incarichi, una data è fondamentale per la sua biografia: il 4 novembre 1816 si ritirò, infatti, con due suoi amici sacerdoti presso la chiesa (soppressa dalle truppe napoleoniche) delle Sacre Stimmate di San Francesco. Era questo l’embrionale gruppo che diede vita a una nuova congregazione: i “Missionari apostolici”, così si chiamarono in un primo momento, al servizio diretto dei vescovi. Verranno poi chiamati Stimmatini. Nel motto della congregazione è racchiuso tutto il progetto apostolico: «Euntes, docete in diocesi et mundo», ossia «Andate e insegnate nella diocesi e nel mondo». Un motto ispirato alle parole di Gesù riportate nel vangelo di Matteo: «Andate e predicate» (Matteo 28,19). Una predicazione, la sua, che si intreccia con la Passione di Cristo. Una Passione che lo stesso santo ha vissuto sul proprio corpo: all’età di 35 anni fu colpito da febbre “miliare”, che lo portò vicino alla morte. Il giovane sacerdote riuscì a sopravvivere ma per i restanti anni di vita terrena – morì il 12 giugno 1853 – rimase infermo di salute, subendo quasi trecento operazioni chirurgiche alla gamba destra piagata da una forma tumorale.

Fu uomo di azione, ma non meno di preghiera e di meditazione. E a testimoniare tutto ciò ci sono i suoi scritti, tantissimi. Fra questi, è importante ricordare il Memoriale privato, il suo diario spirituale, fondamentale per capire l’anima di questo santo. In queste pagine troviamo delle “pillole” di spiritualità. Ad esempio, alla pagina del 2 luglio 1808 troviamo: «Festa del S. Cuore. Alla Messa, alla consacrazione, comunione e tutto il ringraziamento, molte lacrime di compunzione e affetto, in particolare nella comunione provai per un momento come staccato lo spirito da ogni creatura all’ossequio del suo creatore». L’11 dicembre dello stesso anno, il santo annotava: «Sentimento vivo assai riverenziale amoroso della presenza del Padre al Te igitur nella Messa e viva fiducia e amore verso il Figlio. Ancora sentimento della dignità sacerdotale nella consacrazione facendo la persona di Cristo davanti al suo Padre. Più grande tenerezza e umiltà profonda nello stringere Cristo subito dopo la consacrazione nelle mie mani… Durò fin dopo la santa comunione il sentimento. Dopo, fino a sera, la compunzione». Interessante notare i tre puntini di sospensione in questo scritto: l’animo non riesce a descrivere il sentimento. E il 30 maggio 1812 il santo annotava: «Facendo orazione avanti la Messa, preso da un po’ di sonno, udii il crocifisso dirmi al cuore: “Guarda questo mio cuore!”. Questa parola mi diede subito luce meravigliosa nell’intelletto, ardore grande e improvviso nel cuore, onde sentii correre per tutto il corpo un brivido e trovai chiusi gli occhi e la bocca, ma l’anima del tutto svegliata e piena di gaudio».

Il gaudio di questo santo è stato tutto racchiuso nel suo amore per la Passione di Gesù Cristo. In una predica per il Venerdì Santo del 1801, avvenuta presso la chiesa di San Paolo di Campo Marzio a Verona, notava che l’umanità ha verso la Passione «tanta freddezza, tanta ingratitudine, anzi ingiustizia». E domandava ai presenti: «Avete voi forse cangiato cuore in questo punto medesimo (si riferiva alla Passione, ndr), che più non vi movono i motivi, per altro i più forti, che vi offre Gesù per compatirlo? O li ignorate voi questi motivi? (...) Ignorate che tutto ciò egli patì per voi?». Sono domande che, con la stessa veemenza con cui furono pronunciate in quel Venerdì Santo del 1801, interrogano tutti i cristiani ancora oggi.