Sacrificio di Isacco, uno scarto d'autore
La formella brunelleschiana è senz’altro più espressiva e drammatica di quella poi scelta per il Battistero del Duomo di Firenze. In essa, infatti, si percepisce chiaramente quanto Abramo sia stato messo a dura prova da Dio la Cui forza è impressa nell’angelo che interviene, irruento, sulla scena per bloccare, con gesto deciso, la mano del patriarca.
Filippo Brunelleschi, Sacrificio d’Isacco (Genesi, 22). Firenze, Museo del Bargello
Firenze, XII secolo. All’Arte della Calimala, o dei Mercatanti, tra le più antiche e nobili corporazioni di Firenze, viene affidata la curatela del Battistero del Duomo cittadino, intitolato, come è noto, a San Giovanni. Il Battista, naturalmente.
Firenze, 1401. In ballo c’è la commissione della porta Nord del suddetto Battistero: quella sud era già stata realizzata da Andrea Pisano una settantina d’anni prima, mentre il tempo per la messa in posa della porta est, detta del Paradiso, aveva ancora da venire. Col senno di poi possiamo tranquillamente affermare che quella data, il 1401, segnò l’avvento del Rinascimento, stante ciò che affermano tutti i manuali di storia dell’arte il cui capitolo a riguardo inizia proprio da quella pagina. Un evento importante, insomma. Memorabile.
Fatti e antefatti. Il Battistero di Firenze è una delle chiese più antiche del capoluogo toscano. Sorge dirimpetto al Duomo, Santa Maria del Fiore, e, nella forma attuale, risulta essere il probabile frutto dell’ampliamento di un primitivo edificio risalente al IV–V secolo. Sotto la giurisdizione della ricca Arte della Calimala s’intraprese, all’interno, la realizzazione di un ampio programma decorativo musivo e, come già detto, la progettazione di tre splendide coppie di battenti che ne garantissero l’accesso.
A chi assegnare il compito, impegnativo e allo stesso tempo ambito, della creazione della porta nord? Quale sarebbe potuto essere il criterio di scelta tra le maestranze attive e disponibili sulla piazza di Firenze? La risposta a questi interrogativi fu affidata alle sorti di un concorso bandito dalla corporazione medesima che riunì una commissione di una trentina di elementi chiamati a giudicare gli aspiranti “magistri” sulla base di un tema ben specifico loro assegnato: il sacrificio di Isacco. Entro un anno avrebbero dovuto consegnare una formella scolpita nel bronzo, iscritta in un quadrilobo, tipico elemento di gusto fiorentino, che riprendeva lo stesso motivo della porta del Pisano. A titolo informativo, per i lavori furono messi a disposizione degli artisti ben trentaquattro chilogrammi della preziosa materia prima.
Veniamo agli interpreti. Si presentarono sette candidati, di cui solo i primi tre nomi lasciano intuire l’altissimo livello della competizione: Jacopo della Quercia, Lorenzo Ghiberti, Filippo Brunelleschi. Solo di questi ultimi due ci sono pervenute le rispettive prove, entrambe conservate al Museo del Bargello di Firenze. Esse rispecchiano due opposte tendenze scultoree, allora in voga e così sintetizzabili: il persistere del gusto tardo gotico, nel caso del Ghiberti, e, per quanto riguarda il Brunelleschi, l’appassionato recupero delle radici classiche.
Senza indugi diremo subito che il lavoro fu affidato al Ghiberti, secondo il quale il giudizio della giuria fu unanime. Fonti vicine all’avversario dichiararono, invece, che la vittoria fu a pari merito ma che il Brunelleschi, piuttosto che spartire il compito con il collega, preferì allontanarsi da Firenze. Comunque sia andata, oggi noi siamo custodi di due magnifici manufatti: rispetto alla versione pacata del Ghiberti, però, quella brunelleschiana è senz’altro più espressiva e drammatica. In essa, infatti, si percepisce chiaramente quanto Abramo sia stato messo a dura prova da Dio la Cui forza è impressa nell’angelo che interviene, irruento, sulla scena per bloccare, con gesto deciso, la mano del patriarca.
Brunelleschi divise lo spazio a sua disposizione in due parti, in senso orizzontale, distribuendo i personaggi su tutta la superficie, all’occorrenza adattandone le posture alle linee curve della cornice. In basso, in primo piano, trovano posto l’asino e due servitori seduti, di cui quello a sinistra è citazione della classica ed ellenistica figura dello Spinario. Il gruppo funge da basamento per il livello superiore, dove si consuma il dramma. Qui l’esile Isacco, fulcro della scena, è afferrato con forza dal padre, il cui scatto in avanti è evidenziato dal lembo del mantello alzato alle sue spalle.
Drammaticità, movimento e ritmo incalzante, di grande realismo, sono evidenziati attraverso i contrasti delle forme, spigolose e morbide, delle superfici, lisce e irregolari, delle linee di forza che si incontrano e scontrano.
Della scena sulla fronte dell’ara varie sono le letture: è un’Annunciazione o la sua prefigurazione, ovvero l’annuncio a Sara, moglie di Abramo, da parte del Padre Eterno? In ogni caso il sacrificio di Isacco è evidente figura del sacrificio di Cristo sulla croce e Abramo è l’immagine di Dio che sacrifica Suo Figlio Unigenito per la salvezza di tutti gli uomini. Ciascuno di noi compreso.