Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
RUSSIA

S. Nicola II Romanov, lo zar martire più calunniato

Oggi la Chiesa Ortodossa Russa celebra il giorno di San Nicola II Romanov, ultimo zar di tutte le Russie. Fucilato dai comunisti nel 1918 fu un martire e un personaggio controverso che merita una rivalutazione dopo un secolo di calunnie.

Cultura 17_07_2014
Nicola II Romanov

Nicola II Romanov fu l’ultimo zar di tutte le Russie, oggi viene celebrato il suo giorno dalle chiese orientali: il 15 agosto 2000 è infatti stato canonizzato dalla Chiesa Ortodossa russa, Patriarcato di Mosca, dopo un dibattito serrato durato ben otto anni. L’ultimo zar non venne canonizzato da solo, ma assieme a tutta la sua famiglia, a più di 1000 martiri del regime sovietico e a 56 martiri cristiani del XVI Secolo. Oggi si celebra, per essere precisi, il giorno dei Santi Martiri della Famiglia Imperiale Romanov. Assieme a Nicola, il 17 luglio 1918 vennero fucilati la moglie Aleksandra, le figlie Olga, Tatiana, Maria, Anastasia, l’erede al trono Aleksej, il medico e tre fedeli servitori. Nel 1981, in una prima celebrazione “clandestina”, della Chiesa Ortodossa Russa in esilio, a New York, vennero canonizzate tutte le vittime della strage, medico e servitori compresi. La Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Mosca nel 2000, invece, canonizzò solo i membri della famiglia imperiale.

La canonizzazione di gruppo ha un significato politico e religioso preciso. Nicola II, anche a 96 anni dalla morte, rimane una figura controversa in Russia. La Chiesa russa, una volta libera dal comunismo, nel 1993, chiese al popolo di pregare per espiare il crimine di regicidio, pur sottolineando che questa preghiera esulasse da ogni idea politica o da ogni parere in merito al regno di Nicola II. Nel 1997 l’esortazione alla preghiera venne reiterata, ma il Patriarcato di Mosca respinse la proposta della canonizzazione, benché l’ultimo zar stesse diventando già un oggetto di devozione popolare e le sue icone si stessero già diffondendo in Russia. Il culto si rafforzò ulteriormente, quando il presidente Eltsin, il primo della Russia post-comunista, decise di riportare le salme della famiglia imperiale a San Pietroburgo. Anche in questo caso, si trattò di una scelta politica, per chiudere con il passato comunista, ma non religiosa: la Chiesa ortodossa evitò di commentare. La sepoltura a San Pietroburgo, tuttavia, contribuì notevolmente a diffondere, in modo spontaneo, il culto popolare per Nicola II, la cui icona era ormai una delle più diffuse nel Paese. La fine degli anni ’90 fu un periodo di crisi e vuoto politico: l’economia andò in bancarotta, i governi duravano anche solo due o tre mesi, del presidente Eltsin facevano notizia soprattutto le sue assenze improvvise, la malattia, l’inclinazione al bere. I russi avevano bisogno di un’icona, lo zar colmava, almeno spiritualmente, questo vuoto. Tuttavia era ancora difficile superare quella settantennale opera di demonizzazione dello zar praticata assiduamente dalla storiografia ufficiale marxista. Fu così che il Patriarcato di Mosca procedette con la canonizzazione, ma esclusivamente per il martirio di Nicola e della sua famiglia, per la dignità e la fede dimostrate nella prigionia e nelle ultime ore, per il loro attaccamento ai valori cristiani. Tutto il passato anteriore al 1918, dunque l'azione politica di Nicola, non venne neppure presa in considerazione.

Le generazioni più anziane e nostalgiche dell’Urss (non solo in Russia, ma anche in Italia) vedono tuttora l’ultimo monarca russo come un regnante corrotto, pavido, in balia di una moglie reazionaria e di un monaco pazzo (Rasputin), responsabile della “guerra imperialista”, difensore di un sistema feudale ormai cadente. Sono luoghi comuni duri a morire diffusi da quattro generazioni di libri di storia, dalla cultura popolare, dai film sovietici di Eisenstein imposti nei circoli cinematografici. “Il comunismo fu duro? Sempre meglio degli zar che c’erano prima”, sono soliti difendersi gli irriducibili della falce e martello. Ma sono luoghi comuni, appunto. Un contemporaneo di Nicola II, Winston Churchill, nelle sue memorie sulla Prima Guerra Mondiale (The World Crisis), invitava i lettori a giudicare Nicola II dal suo operato e dai suoi risultati. Al di là delle voci sulla sua pavidità e corruzione, ne emergeva invece una figura di coraggioso comandante in capo, capace di tenere testa per tre anni a tedeschi e austro-ungarici, pur nell’isolamento geografico e nonostante l’inferiorità tecnologica (rispetto ai suoi potenti nemici) di cui soffriva la Russia allora. Churchill, che era tutt’altro che un reazionario, giudicò la rivoluzione e il successivo golpe bolscevico come una vera pugnalata alle spalle dei progressisti russi nei confronti del loro sovrano.

I dati economici sulla Russia pre-1914 ci mostrano tutto meno che un Paese sottosviluppato: quinta potenza industriale nel mondo, l’economia con la più rapida crescita in tutta Europa, un posto di primo piano nella ricerca scientifica, nell’arte (l’era di Tolstoj nella letteratura e Stravinskij nella musica). Nicola II, dopo la disastrosa guerra con il Giappone (che non volle e non provocò) e la prima rivoluzione del 1905, concesse la riunione di un parlamento (la Duma), con partiti legali e in competizione fra loro, libertà di espressione e una complessa riforma agraria, fondata sulla proprietà individuale, che iniziò a far emergere un’intera classe di contadini proprietari (i “kulaki”). Altro mito da sfatare: l’agricoltura russa non era mai stata feudale, bensì comunitaria. La terra apparteneva alle comunità di contadini e veniva suddivisa fra i loro figli. Il problema che si presentò all’inizio del Novecento e a cui si cercò di ovviare con la riforma dei kulaki, era semmai la mancanza di terra: colture estensive e un territorio fertile colonizzato relativamente limitato (rispetto agli sterminati territori dell’Impero) facevano sì che sempre più contadini si ritrovassero senza terra. Non perché ne fossero stati spossessati, ma perché non l’avevano mai potuta far loro. La diffusione della piccola proprietà e conseguentemente delle culture intensive avrebbero probabilmente risolto il problema nel corso degli anni. Purtroppo intervenne la Prima Guerra Mondiale a interrompere bruscamente questo processo di trasformazione.

Nel 1914, contrariamente alla vulgata storica marxista, non si può affermare che Nicola II abbia “voluto” la Prima Guerra Mondiale. La prova principale? Sia l’esercito che la marina russe erano fortemente impreparati a combattere una guerra moderna. Una volta scoppiato il conflitto fra Austria (appoggiata dalla Germania) e Serbia, una guerra alla frontiera europea con le Potenze Centrali sarebbe stata solo una questione di tempo. Lo Stato Maggiore russo era perfettamente a conoscenza delle intenzioni tedesche: la nascita di una vasta area-cuscinetto nell’Europa orientale, a scapito della Russia. La mobilitazione generale, decretata alla fine di luglio, fu praticamente un atto obbligato. Va notevolmente ridimensionata, inoltre, anche l’influenza politica di Rasputin, membro di una setta di flagellanti (non era un monaco) che pareva dotato di poteri taumaturgici notevoli. Nicola II avrebbe fatto di tutto pur di salvare il figlio, emofiliaco, e accettò di affidarlo alle cure di Rasputin, di cui la moglie Aleksandra si fidava ciecamente. Tuttavia non vi sono prove di un’influenza politica di Rasputin sulla corte, sullo zar o sullo stato maggiore russo durante la guerra. La leggenda nera dell’influenza nefasta del “monaco pazzo” e dei suoi complotti con i nemici, emerse negli ambienti militari dopo le disastrose sconfitte del maggio-agosto 1915, per trovare un comodo capro espiatorio. In realtà il complotto vero era già in corso, in Svizzera. Non faceva capo a Rasputin, ma a Lenin, il più estremista dei leader socialisti. Ma nessuno ne seppe nulla, finché non fu troppo tardi.

Nel corso della Prima Guerra Mondiale, lo zar non si dimostrò affatto disponibile a riforme democratiche e questa sua chiusura portò, infine, alla rivoluzione del febbraio 1917 e al crollo della monarchia. Gli anni precedenti avevano dimostrato che la sua non era una presa di posizione ideologica: già altre riforme, molto radicali e profonde, erano state concesse nel corso del suo regno. Dal 1915 in poi, tuttavia, l’Impero Russo si ritrovava con un quinto del suo territorio (e un terzo del suo potenziale industriale) occupato dai tedeschi. Ogni cedimento sul piano politico, poteva dunque apparire come un sintomo di debolezza. Fu in queste condizioni che lo scontro politico fra zar e Duma si incancrenì fino allo scoppio della rivoluzione.

I luoghi comuni, purtroppo, sono però durissimi a morire, anche se ormai potrebbero essere smentiti facilmente uno per uno. La rimozione della memoria imperiale, soprattutto in Russia, è stata molto capillare. La Prima Guerra Mondiale è un confitto rimasto senza cimiteri, tutti distrutti per volontà di Lenin e Stalin: solo quest’anno, in occasione del centenario, verranno celebrati i caduti del 1914-18. Nicola II è tuttora ricordato come martire del comunismo. Verrà anche il giorno della sua rivalutazione politica?