Rouhani dal Papa. Cristiani iraniani ancora repressi
Il presidente iraniano Hassan Rouhani si presenta al mondo come un leader riformatore che vuole il dialogo. Oggi si incontra con Papa Francesco. Il volto del regime è più mite e ufficialmente i cristiani iraniani sono liberi di praticare, ma la discriminazione è tuttora un problema grave, così come le leggi anti-proselitismo.
Il presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, in visita a Roma, incontra oggi Papa Francesco. L’islam sciita iraniano, ricorda Vatican Insider, è più aperto al dialogo con la Chiesa. Il lungo e paziente lavoro diplomatico del cardinal Jean Louis Tauran ha ricucito il rapporto fra Teheran e il Vaticano, sin dai primi anni 2000. Il presidente Hassan Rouhani, eletto presidente poco dopo l’ascesa al Soglio di Papa Francesco, ha voluto fortemente questo incontro. Dopo il rinvio di novembre, dovuto alla strage di Parigi e alla preoccupazione per la sicurezza che ne è seguita, siamo al dunque, con appena due mesi di ritardo. Se la volontà di dialogo è forte, come potrà migliorare la vita della piccola minoranza cristiana in Iran? E come vivono i cattolici, e in generale i cristiani, nella Repubblica Islamica?
Sulla realtà iraniana si hanno testimonianze ambivalenti. Non è tutto nero, come sotto altri regimi, perché non c’è una repressione palese, non c’è uno sterminio, le chiese sono legali e i cristiani possono praticare la loro fede. Ma Open Doors inserisce comunque il regime degli ayatollah al nono posto della sua World Watch List, fra i peggiori persecutori. Perché? Leggiamo sulla scheda dedicata al paese che: “Mentre coloro che sono considerati cristiani etnici, come gli armeni e gli assiri, hanno il permesso di praticare la fede nell’ambito delle loro comunità, i persiani sono definiti musulmani e ogni attività cristiana nella lingua dei persiani, il farsi, è vietata. Chiese sotterranee sono sempre più monitorate, cosa che genera paura nel frequentarle e almeno 108 cristiani sono stati arrestati l’anno scorso. I metodi di interrogatorio in carcere possono essere molto duri, abusi sessuali inclusi”. Nel rapporto leggiamo anche che “Il cristianesimo è considerato come una influenza occidentale da condannare, una minaccia reale all’identità islamica della Repubblica. E’ considerata pericolosa soprattutto la crescita del cristianesimo e, secondo quanto riportato, anche il fatto che i figli di leader politici e spirituali stiano abbandonando l’islam per abbracciare il cristianesimo”.
Qualcosa sta cambiando sotto Rouhani? A quanto pare sì, secondo quanto riferiva Bernardo Cervellera, un anno fa, sull’agenzia missionaria Asia News. Ma proprio dalle “buone notizie” si ricava, a contrario, quanto forte sia stata la discriminazione fino ad ora. Nella sua intervista a Yonathan Betkolia, deputato assiro del parlamento di Teheran, Cervellera riporta: “… Gli domando se in questi anni i rappresentanti cristiani al parlamento hanno portato qualche risultato per migliorare la libertà religiosa dei cristiani. Mi racconta un fatto interessante: fino a poco tempo fa vi era una antica legge che garantiva il cosiddetto ‘prezzo del sangue’: se uno veniva assassinato e l’omicida preso e condannato, questi doveva pagare il prezzo del sangue alla famiglia dell’ucciso. Ma per un musulmano tale prezzo era di 60 milioni di rial; per un cristiano era 3 milioni di rial. I rappresentanti delle minoranze hanno ottenuto che il prezzo del sangue fosse uguale per tutti, cristiani e musulmani, cioè 150 milioni di rial”. Leggiamo anche, nella stessa intervista, che: “Un’altra legge che si sta per cambiare è quella sull’eredità. Tale legge impone che se un membro della famiglia è musulmano, tutta l’eredità vada a lui e non sia suddivisa fra i membri. Questo ha portato spesso a false conversioni all’islam dettate dalla voglia di impossessarsi di tutti i beni di famiglia. Questa legge la vuole cambiare proprio il ministro Younesi”.
E resta il problema delle leggi contro il proselitismo. L’Iran è, per costituzione, una Repubblica Islamica. Chi abbandona l’islam per abbracciare il cristianesimo o qualunque altra fede, è condannato. Può subire il carcere o anche una condanna a morte. Anche in Iran, come in Pakistan, la blasfemia o “diffamazione” dell’islam è un reato punito con la morte. Chi fa proseliti, viene incarcerato. Il proselitismo è praticato soprattutto dalla comunità protestante, che infatti subisce il grosso della persecuzione. Ma i confini sono labili. Cosa si intende per proselitismo? Semplicemente essere cristiani e mostrare apertamente la propria fede, può essere punito? Con l’avvento della Repubblica Islamica, imposta dall’ayatollah Khomeini dopo la cacciata dello Shah nel 1979, la presenza ecclesiastica venne ridotta al minimo. Tra il 1980 e il 1981 la nuova legge sulle minoranze stabilì che vi fosse solo un sacerdote per ogni chiesa. All’epoca le chiese dei cattolici latini erano sei, quindi restarono in Iran solo sei preti latini, rispetto agli oltre trenta che c’erano prima. Benché ora i tempi siano molto più rilassati, la comunità cattolica è rimasta piccolissima. Rappresenta lo 0,01% della popolazione. I sacerdoti sono 14: 7 diocesani e 7 religiosi. Non vi sono religiose. I religiosi professi sono 19 e i catechisti 33. Irene Pace su Avvenire nel 2012 riportava le testimonianze di cattolici iraniani, che parlavano celando la loro identità e raccontavano di una vita da cittadini di serie B “Riconosciuti dalla legge, tollerati in pubblico ma sottoposti a una discriminazione sostanziale nella burocrazia, negli uffici, nelle scuole, nei tribunali, ogni volta che ci sia da far valere un diritto civile”.
Hassan Rouhani, appunto, si mostra al mondo come un leader riformatore. Se lo è realmente, la riforma della Repubblica Islamica non potrà prescindere dalla libertà di religione.