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STORICO GESTO DI RICONCILIAZIONE

"Rolando mi ha guidato per far trovare la pace a mio padre"

“Ognuno ha un compito nella vita, una missione: la mia era fare ritrovare la pace a mio padre". Parla Meris, la figlia di Giuseppe Corghi, il partigiano che nel 1945 uccise il seminarista martire Rolando Rivi, oggi beato. Un evento di riconciliazione storico e toccante quello vissuto ieri nel santuario di San Valentino (RE) dove il seminarista è sepolto. A 73 anni da quei fatti, la figlia dell'uomo che sparò a Rivi in odium fidei abbraccia la sorella del seminarista martire e chiede perdono per il padre invocando proprio l'intercessione del beato da lui ucciso. "Una stretta di mano tra le nostre due famiglie sia il simbolo della giusta espiazione per l’odio fraterno".

-LA LETTERA: UNA STRETTA DI MANO PER UNA GIUSTA ESPIAZIONE di Meris Corghi
-MISERICORDIA SOLO NELLA VERITA'
-LA FOTOGALLERY DELL'EVENTO

Ecclesia 16_04_2018
Rosanna Rivi e Meris Corghi si abbracciano in chiesa

“Ognuno ha un compito nella vita, una missione: la mia era fare ritrovare la pace a mio padre e tentare di riconciliare i nostri cuori. Con l’aiuto di Dio oggi si compirà dentro una stretta di mano”. Meris Corghi ha la voce rotta dalla commozione. E la pieve di San Valentino dove è sepolto il Beato Rolando Rivi, proprio ieri eretta a santuario dal vescovo di Reggio-Guastalla Massimo Camisasca, era troppo piccola per contenere tutti i fedeli che si erano dati appuntamento per questo gesto storico di riconciliazione.

Un gesto che apre una pagina nuova e gloriosa nel difficile percorso di rappacificazione della ferita della guerra civile chiamata Resistenza, che ancora oggi sanguina in un’Italia che fatica ad accettare quella tragedia che portò all’uccisione di migliaia di innocenti solo per odio politico.

Eccola Meris Corghi. Uno sguardo dignotoso e umile. Si presenta così, senza imbarazzi, ma con la mitezza di chi sa di avere la coscienza a posto dopo una lunga traversata nel deserto. Con il suo nome e dice fin dall’inizio di chi è figlia. “Giuseppe Corghi era mio padre”. E’ lui il partigiano che il 13 aprile del 1945 freddò a colpi di pistola il giovane seminarista 14enne Rolando Rivi colpevole di essere soltanto un ragazzino innamorato di Gesù e il prete di domani.

L’evento di riconciliazione tra la figlia dell’assassino di Rolando e la sorella e la cognata della vittima innocente avviene sotto gli occhi delle telecamere, a suggellare un momento storico di riconciliazione frutto della verità. Meris ha partecipato alla messa solenne per l’anniversario dell’uccisione del beato con il figlio che le è stato sempre accanto. Ed è entrata in chiesa all’inizio della celebrazione accompagnata da Alfonsino, assieme a Sergio Rivi, uno dei cugini di Rolando che in questi 30 anni si sono sempre battuti per la verità su quel delitto che la Chiesa ha sancito nel 2013 come martirio in odium fidei.

Insieme depongono una corona di fiori davanti all’altare maggiore della pieve romanica dove il corpo di Rolando è nascosto da un paliotto d’altare che lo raffigura assieme a Maria e Gesù. Il vescovo Camisasca assiste in disparte alla scena, commosso. E durante la messa questa commozione per la potenza di Dio, per intercessione del Beato Rolando, traspare quando il pastore reggiano, nell’omelia, dice che “il perdono che oggi avviene è il segno che Egli è in mezzo a noi. E’ Gesù che, per intercessione di Rolando, attrae i cuori di coloro che oggi chiedono e donano il perdono. Egli è il sole, che scende nelle profondità delle nostre inimicizie per sanarle”.

E Meris è dovuta scendere nelle profondità di quel fatto così tragico del quale lei non poteva essere in alcun modo responsabile per provare a riannodare i fili di una salvezza di cui solo Dio può disporre, ma che però una figlia può chiedere offrendosi in espiazione al posto del padre. Meris usa proprio questa parola così profonda, così drammaticamente piena per esprimere il significato vero del suo gesto: “Questa stretta di mano tra le nostre due famiglie sia il simbolo della giusta espiazione per l’odio fraterno per ogni padre, per ogni nonno, per ogni bisnonno che ognuno ha nella nostra famiglia tornato vivo dalla guerra”.

E’ solo allora che si comprende l’immensità di quel gesto che ci richiama all’eternità, si chiariscono le intenzioni sincere e decisive di questa donna rimasta nel nascondimento per tutta la vita e che solo oggi ha mostrato alla Chiesa di essere una sua figlia prediletta. Meris, in fondo, non ha alcun rancore da esibire, ma chiede sommessamente soltanto che il padre che ama partecipi assieme a Rolando di quella salvezza eterna che ieri è stata la vera protagonista nascosta dietro quella stretta di mano tra Rosanna Rivi, sorella di Rolando e Maria, moglie del fratello Guido e la figlia di Corghi.

Che cosa doveva fare? Consolarsi nell'autogiustificazionismo e coltivare una vita piena di rimorsi? Ha scelto invece la difficile via di una sorta di espiazione vicaria facendosi carico della colpa del padre, ne ha portato il peso pubblicamente per non lasciare nulla di intentato su questa terra affinché l'uomo che ha amato e che ha tanto sbagliato partecipi della beatitudine eterna. In poche parole: questa donna non vuole che il padre vada all'inferno, vuol dire che ci crede, e per questo offre espiazioni (le ha chiamate proprio così) affinché la riconciliazione non sia un momento buonista, ma un vero atto di pacificazione nella verità. Verità che questa donna ha detto, che cosa doveva fare di più? Violentare la sua coscienza e maledire il padre? No, perché non avrebbe concorso per salvargli l'anima, l'unica cosa che le sta a cuore, e giustamente. 

Il padre per quel delitto venne condannato assieme a Delciso Rioli a 23 anni di carcere, per poi rifarsi una vita. E in questa vita, trascorsa in provincia di Bologna, a Casalecchio di Reno, nella vita di Giuseppe Corghi entrò Meris, la figlia. Che all’epoca dei fatti non era nata e di quei fatti non parlò mai con il padre. Come però sia venuta a conoscenza di quel terribile segreto è ancora nell’intimità della donna, la quale però ad un certo punto decide di affrontare il destino che l’attende: “Durante un percorso che mi ha trasformato profondamente nell’animo, ho sentito che c’era qualcosa che dovevo fare, ma non sapevo cosa. Non sapevo praticamente nulla di questa vicenda, perché io non ero nata all’epoca e dopo ero troppo piccola per capire i discorsi. Ma, piano piano hanno cominciato ad affiorare dei tasselli, ho cominciato a pormi delle domande e ho iniziato un cammino che mi ha portato fino a qui oggi. Non ho quasi idea di come sia successo, so soltanto che è stato come essere guidata. Sì, sono stata guidata, forse dalla presenza di mio padre nel cercare una risoluzione per poter ritrovare la pace. Forse dalla luce divina che ognuno di noi porta nel cuore, forse dallo stesso beato Rolando che desidera più di ogni altro in questo momento storico e decisivo per il mondo l’unione e la pace”.

Ritrovare la pace. Meris lo dice spesso durante la lettura della lunga lettera al termine della messa (LEGGI LA LETTERA INTEGRALE). “Vi chiedo con immensa umiltà di permettermi di pronunciare queste parole che mi sono state dettate dal cuore. Sono una figlia anche io, come tutti”. E poi si lascia andare a ricordi teneri d’infanzia: “Ho sempre pensato a mio padre come ogni figlia dovrebbe pensare a un padre: una forza, un pilastro, un punto di riferimento. Da lui ho saputo sempre molto dell’amore e molto poco della guerra. Lui era mio padre, il mio esempio. Mi faceva ballare, mi faceva girare sulle punte come una ballerina. Era tutto. E’ impegnativo per me essere qui ora, quello che ha stravolto la vita di mio padre e ha travolto la vita di Rolando è l’odio che cresce tra gli uomini e si trasforma nella guerra”.

Perché “siamo tutti fratelli e nella guerra tutti perdiamo. Avete perso Rolando e si è perduto mio padre, ma Cristo ha salvato tutti gli uomini. Prima di spirare sulla croce usò il suo ultimo fiato solo per perdonare i suoi carnefici. “Padre perdona loro perché non sanno”. E’ questa la speranza recondita e tenace di Meris: che Gesù abbia perdonato quell’uomo che la faceva ballare come una principessa e che l’ha preservata da quel passato così tragico e doloroso.

In fondo, dopo questo lungo cammino, Meris ha capito l’essenziale: “L’unica vera esplosione e mi permetto di parlare a nome di tutti, sia quella della gioia sui sentieri dei nostri figli. Facciamo che diventino creatori di pace come lo è diventato il beato Rolando in questa vicenda e come cerco di esserlo io in questo momento nella memoria di mio padre”. Un appello alla pace che si riverberi anche sull’oggi in cui i signori della morte e della guerra continuano le loro ideologie. 

Questo solo importa, se si ha a cuore la vita eterna dei propri cari: “Trasformati nella morte e riuniti dall’amore e dal perdono del Padre, che il sorriso di Rolando possa risplendere su tutti voi e accanto a lui anche quello di mio padre. Ciò che l’odio del separatore ha diviso possa riunirsi nell’amore del sacro Cuore di Gesù e nell’amore del Padre”.

Un lungo applauso ha sciolto l’emozione e la tensione. Le tre donne si sono abbracciate proprio sotto lo sguardo tenero del martire bambino. Il gesto di Meris ci riporta ad un compito fondamentale per l’uomo sulla terra: quello di pregare per tutte le anime, specialmente quelle più bisognose della misericordia di Dio. Sapendo che è nostro compito offrire sacrifici – e niente è più perfetto di una messa - perché il Signore possa farli partecipi di quel mistero eterno al quale oggi, è la speranza di tutti, possano trovarsi uniti, finalmente riconciliati grazie alle preghiere sulla terra, la vittima e il carnefice, il lupo che pascolerà assieme all’agnello. Perché ieri si è accolta davvero la redenzione di Cristo e gli esseri umani divisi dall’odio con Lui saranno perfettamente uniti. E’ la verità della Chiesa che, oggi come sempre viene a ricordarci di non smettere di chiedere la salvezza per le anime che hanno bisogno della nostra intercessione. Una donna che ha sofferto per colpe non sue sta a testimoniarlo. Si è umiliata per amore del padre chiedendo perdono, regalandogli così uno frammento di beatitudine eterna su cui Dio ora potrà far valere la sua giustizia.